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Condoglianze attentato a San Pietroburgo

  Appreso dell’attentato terroristico di San Pietroburgo da parte di elementi criminali,nemici del popolo della Federazione Russa e di tutti i popoli amanti della pace,il Veneto Serenissimo Governo,erede e continuatore della storia,cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica esprime dolore e solidarietà al fraterno popolo russo,al suo Governo e al Presidente Wladimir Putin.

Il Veneto Serenissimo Governo chiede al governo russo di porgere i nostri sentimenti di dolore e vicinanza alle famiglie delle vittime innocenti,e inoltre si augura che tutti i feriti possano riprendersi,nel più breve tempo possibile.

Siamo inoltre certi che i servizi di sicurezza della Federazione Russa assicureranno alla giustizia i terroristi autori di tale barbaro crimine.

Condoglianze e amicizia

           Per il Veneto Serenissimo Governo

Il Presidente Luca Peroni

Longarone Venezia,3 Aprile 2017




Riflessioni: “Io ebrea varesina, contro lo stupro e contro il terrorismo”

VARESE, 2 agosto 2014-Negli ultimi tempi mi capita di leggere spesso appelli alla pace più o meno brevi, per lo più scritti da donne, ed ogni volta penso che, da un lato, ovviamente, anche io desidero la pace, dall’altro mi chiedo quanto queste parole siano davvero per la pace o invece nella loro ambiguità non alimentino i conflitti.

Dire che la guerra ha una finalità sua propria e risponde a logiche di potere, che la alimentano e che non hanno senso se non per se stesse, è un modo come un altro per mettere questa cosa fuori di sé ed in questo modo non assumersene la responsabilità.

La guerra è fatta da persone, ed è un elemento che caratterizza (questo può piacerci o meno) la storia dell’umanità.

E’ possibile immaginare e quindi creare un mondo senza guerra? Io mi ostino a credere che lo sia, ma la mia risposta non può prescindere dal dire con parole chiare, alcune cose e soprattutto non può dirsi a partire da una presunta neutralità.

Ognuno di noi guarda gli avvenimenti, le persone, le situazioni a partire da sé, dalla propria storia, dalle proprie esperienze, dalla propria educazione e, si spera, dalla propria etica.

Alle persone è stato detto per molti secoli che esisteva un pensiero neutro, che, per esempio l’uso del maschile (che anche io adotto per comodità comunicativa) non era maschile ma era neutro, che tutto ciò che è stato pensato e teorizzato dagli uomini nel corso dei secoli valeva anche per le donne, ancora oggi alcuni sostengono sia così.

Nonostante molta elaborazione, la maggior parte delle donne fatica ad avere un punto di vista che non sia il frutto di questo pensiero “neutro universale”. Nella migliore delle ipotesi ce ne rendiamo conto guardando la difficoltà con la quale una donna riesce a dire “di sé” e “da sé”, fuori dagli schemi oppure, dentro gli schemi, ma senza paura. Nella peggiore delle ipotesi lo vediamo rappresentato dalle donne che inseguono un idea di emancipazione che annulla la loro identità in favore di una mascolinizazione particolarmente dei comportamenti, più che dell’estetica.

Ciò che contraddistingue in parte questo comportamento delle donne, siano esse in posizioni di potere, come in posizioni subordinate al potere, è la paura, e questo sentimento è il medesimo che determina le azioni del genere umano tutto, ed è anche il motivo per il quale si scatenano i conflitti, in generale

Come si esce da questa dinamica e cosa può modificare sostanzialmente questo modo? A mio avviso si esce da questa dinamica nel momento in cui si ha la consapevolezza di potersi difendere da un’eventuale aggressione, si sa che questa sarà l’estrema razio, ma si sa altrettanto bene che si hanno le condizioni per non essere più violate o violati.

Questo esclude la guerra? Purtroppo no, perché esiste una parte di umanità, che possiamo definire in maniera generale e generalizzando, quella che risponde ancora a logiche di dominio e di sottomissione, che assume identità nel momento in cui sopprime il proprio nemico oppure lo sottomette completamente.

Esiste un disequilibrio etico fondamentale tra chi reagisce per difendersi e chi ha nella soppressione del nemico il proprio scopo, per questo occorre fare un altro passaggio per poter costruire davvero la pace.

Forse se porto il ragionamento sul mio corpo rimane più facile da comprendere, faccio un esempio: sono una donna di quarantun anni, lavoro come impiegata in un paese europeo, ho un meraviglioso marito, una bella famiglia, amiche ed amici. Per lo più mi vesto secondo il mio gusto ed il mio umore. Vivo in maniera serena. Una sera, uscendo dal mio ufficio mi trovo a passare in una via poco frequentata ed un uomo mi si avvicina con i genitali esposti in evidente stato di eccitazione, io sono spaventata, la mia incolumità fisica è a rischio, cerco di cambiare strada ma quello mi segue e mi raggiunge, a questo punto, avendo ricevuto un addestramento all’autodifesa riesco a reagire e blocco il mio aggressore che finisce a terra ed inizia ad urlare di essere stato aggredito.

Nel frattempo arrivano delle persone che vedendo la scena (compresi i pantaloni aperti dell’aggressore) si dividono, una parte viene verso di me con l’intento di soccorrermi, un’altra parte viene verso di me aggredendomi verbalmente e chiama le forze dell’ordine per denunciarmi ascoltando le lamentale del mio aggressore e fingendo di non vedere “i pantaloni aperti”.

Vengo sottoposta a processo e poiché io sono uscita incolume dall’aggressione e soltanto i testimoni contro di me si presentano, vengo condannata a risarcire il mio potenziale stupratore.

A questo punto chiedo: per costruire la pace cosa avrei dovuto fare? Mi sarei dovuta far violentare?Forse avrei potuto dosare le mie forze ma, il mio pensiero in quel momento è stato “devo salvarmi e se non sono decisa nella reazione rischio di soccombere” o qualcosa di simile.

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Soldati israeliani

Allora, per risolvere il problema della violenza sulle donne basta che queste prendano lezioni di autodifesa? Secondo me no, non è giusto che le donne siano costrette ad imparare a difendersi, ancora meno credo serva che le donne facciano analisi e convegni per parlarne, credo piuttosto occorra cambiare radicalmente la mentalità maschile e che tutti(uomini e donne) vengano cresciuti nella consapevolezza che per essere persone non hanno bisogno di opprimere altre persone. Certo è un processo faticoso perché vuole dire che tutti i maschi devono assumere su loro stessi la gestione del problema della violenza sulle donne e che per questo motivo devono farsi carico d’insegnare, a quelli di loro che la fanno o la farebbero, a comportarsi e quindi pensare in un altro modo.

Una vera grande rivoluzione culturale!

Andando oltre ci sono una serie di elementi in questo esempio di cui occorre tenere conto, per esempio la necessità di partire almeno da una base etica condivisa, la necessità di riconoscere l’altro/a da sé senza voler necessariamente appropriarsene, volerlo trasformare e rendere uguale a se o sottometterlo.

Per questo motivo trovo fastidioso chi parla di pace in medio-oriente mettendo sullo stesso piano Israele ed i suoi aggressori, chi ignora tutti i conflitti in corso ma si sente chiamato a manifestare la propria indignazione nei confronti d’Israele, e, nello stesso modo, trovo fastidioso anche chi non prende una posizione chiara invocando la pace senza tenere conto della differenza enorme tra le parti in gioco.

Tornando alla vicenda personale, mi rendo conto del fatto che non tutte le persone che si sono fermate dopo la mia aggressione si sono messe dalla mia parte, perché?

Facciamo conto che siano in buona fede, lui era a terra ed io ero in piedi, fisicamente incolume (sicuramente non emotivamente), sono io l’aggressiva. Ma quando vedono i pantaloni aperti come giustificano l’aggressore?

Diranno che io non dovevo essere in quel posto a quell’ora da sola.

Ero in uscita dall’ufficio, non dovevo tornare a casa?

Probabilmente non mi sarei dovuta mettere la gonna, lunga ma… insomma sono io che ho provocato eccitamento nel maniaco.

A questo punto chiedo: come, perché?

La risposta sarà qualcosa di teoricamente indicibile: con il tuo esistere ed il tuo essere lì in quel momento, oppure peggio, in fondo le donne sono sempre un po’ troie!

Come si legittimano pensieri di questo tipo?

Nascono dalla paura del diverso da sé, chiunque esso/essa sia.

L’odio nei confronti del popolo ebraico è antico , quasi come l’odio di alcuni uomini e di alcune donne, nei confronti delle donne, assume differenti forme ma risponde sostanzialmente sempre alla stessa logica: odio gli ebrei perché sono altro da me ed in questo loro essere altro da me (esattamente come le donne per alcune ed alcuni) sono simili a me, ne ho bisogno , nello stesso tempo però non li/le capisco del tutto, secondo me ostentano la propria diversità, secondo me non vogliono conformarsi…e via così …

Stranamente chi sostiene la causa palestinese legittimando il terrorismo islamico, ha comportamenti molto violenti sia nel corso delle manifestazioni, sia negli scritti, dimostra fortissima aggressività sia fisica che verbale, si definisce pacifista ma i modi, i contenuti sono aggressivi, arrivando fino ad atti di vandalismo oltre alle usuali bandiere bruciate, evidenziando un risentimento ed un odio nei confronti di Israele, degli ebrei che è evidentemente radicato dentro di loro, che prescinde dalla situazione contingente.

Per lo più, nella mia esperienza, questi sono parte di una marginalità, si sentono esclusi od escluse dalle scelte politiche portate avanti dai propri stati, fanno parte spesso di una sinistra extraparlamentare agonizzante o di una estrema destra altrettanto moribonda che evidentemente tentano in tutti i modi di ricompattare, ognuna le proprie fila (quale evidente similitudine tra le due!) attraverso la modalità classica del nemico comune: l’ebreo, Israele.

Infine mi sembra utile sottolineare che, l’islamismo attuale, lo stesso che aggredisce Israele, è maschilista e macista e dimostra di avere lo stesso comportamento aggressivo sia nei confronti di Israele sia delle donne, per questo si assiste ( per esempio in Iran, Siria, Libia..) ad una sempre maggiore copertura del corpo femminile ed al controllo sulla vagina ed il piacere attraverso l’infibulazione oppure agli stupri di piazza come è accaduto in Egitto in occasione delle così dette primavere arabe.

Il terrorismo islamico e i manifestanti pro-Palestina sono due realtà assai differenti che hanno in comune un aumento esponenziale dei comportamenti aggressivi, la necessità di un credo forte ed assoluto (politico o religioso poco cambia) ma soprattutto dalla necessità di deresponsabilizzarsi per la condizione nella quale si trovano e che per questo cercano il nemico, il capro espiatorio.

Ma cosa centra questo con chi chiede la pace, chi si dissocia dalla guerra?

Il problema è che purtroppo non è possibile chiamarsi fuori da questa situazione, farlo significa legittimare l’aggressore, significa rinunciare alla possibilità di credere che sia possibile costruire la pace. Se vogliamo davvero fare in modo che le donne non siano costrette ad imparare l’autodifesa perché crediamo nell’umanità tutta e nella possibilità che gli uomini imparino a non aggredire le donne allora dobbiamo schierarci. Altrimenti obbligheremo per sempre il genere umano nella disperata condizione di non essere in grado di gestire i propri istinti e quindi legittimeremo un pezzo dopo l’altro il compimento dei peggiori abusi delle più atroci azioni.

Per questo deve essere chiaro che il fatto di difendersi non vuol dire essere colpevoli, il problema non è mio è dell’altro che deve compiere un lavoro su di sé ed imparare a relazionarsi a me senza aggredirmi, senza costringermi a difendermi. Fino a quando questo non sarà fatto ed io dovrò confrontarmi con il desideri di distruggermi, di eliminarmi, di sottomettermi allora potrò soltanto reagire per salvarmi la vita.

Chi aggredisce Israele con le armi come chi si scatena anche solo verbalmente contro Israele, se si guarda dentro fino in fondo si rende conto di essere preso da questo delirio, di volere soltanto azzerare queste differenze, di voler controllare ciò che non può essere controllato: l’altro da me.

Alcuni e alcune potrebbero dire che ad essere “violentati” sono i palestinesi, vero dai terroristi tra loro, da Hamas o da qualunque organizzazione cui affideranno le proprie sorti sapendo che lo farà sacrificando la loro vita pur di distruggere Israele.

Chi non sceglie la vita, prendendo una posizione, rinuncia alla cosa, secondo me, più bella ed importante per ogni essere umano, rinuncia alla propria parte di responsabilità, rinuncia al senso stesso dell’esistenza.

Ariel Shmona Edith Besozzi




Obama, che disastro Spinge Israele tra le braccia di Putin

Quella dei telefoni è in assoluto una delle immagini più ricorrenti nella narrazione degli accadimenti contemporanei in cui è convinta l’America.Non più semplice metafora delle relazioni tra gli snodi su cui corre la corrente delle cancellerie di tutto il globo, nell’era della Rete è interfaccia vera e propria del potere.

Dopo avere letto del voyeurismo telefonico della NSAadannodella cancellieraoavere ascoltato le trascrizioniclandestinedellanegoziatrice americana Victoria Nuland che inveisce contro l’Unione Europea, ecco che le immagini telefoniche tornano a popolare le cronache. Questa volta è ilMedio Oriente a regalarci l’immagine di una linea telefonica rovente – quella tra Gerusalemme e Washington, dove il legamestoricotraleamministrazioniamericane e Israelesembra soffrirepiùdel solito sotto la presidenza Obama. A una linea rovente fa da contrappunto la nuova linea rossa tra Putin e Netanyahu, paradigma di convergenze mediterranee in controtendenzarispetto alla strategia americana per il Mare Nostrum. A Gerusalemme la dottrina obamiana della democrazia a tutti i costi è sempre stata vissutaconcrescente sospetto. Democrazianonfa infatti rimaconstabilità, né consicurezza.Èper questo che la sistematica rimozione di autocrati secolari- ikemalisti inTurchia,Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia – ha lasciato sgomenti gli israeliani. Specie se nel frattempo Washington ha riaperto i canali di dialogo conTeheran,creandoscompiglio tra i Sauditi. Puntuali, le elezioni sono arrivate,come è arrivato l’avvento di gruppi islamisti come l’AK Party (Turchia) o la Fratellanza Musulmana (Egitto e, in parte, Libia). È bastato poco per capire che tragli ispirati discorsi diObama e la realtà lo scarto era notevole, che evocare la democrazia non bastava a dare nuovo benessere e che far rotolare le teste di qualche vecchio dittatore non portava né pace né pane. Anche in uno scacchiere complessoe spesso crudocomequellomediorientale, chi abbandona l’alleato di un tempo o contribuisce ad eliminarlo porta il marchio dell’ambiguità e inaffidabilità. È per questo che Israele, che non hamai reciso i legami con la Russia, preferisce rinsaldare i legamiconVladimir Putin anchementre impazzalacrisiucrainaeamericani ed europei ragionano su sanzioni più severe contro Mosca. Putin è un capo di Stato dal pugno di acciaio e con eccessi che fanno gridare allo scandalo molti benpensanti. Resta il fatto chequest’uomo, l’uomo che si fa ritrarrementre caccia tigri siberiane, ha due enormi atout. Ilprimo è che Putin agisce razionalmentee condecisionequandoindividuapericoli alle porte di casa in grado di contagiare la Russia: è razionale e non emotivo né in balìa dell’opinione pubblica. Come quando nell’arco di pochissime ore convinse Assadadesisteredall’inasprimentodella guerracivile,evitando il definitivo deflagrare della Siria in un pulviscolo di instabilità capace di incunearsi in tutto il Medioriente e inAsiaCentrale. Il tuttomentre in Occidente era in corso l’abituale contorsionismointellettuale sul da farsi. O comequando, mentre gliamericanidovevanoancora decidere come posizionarsi di fronte al colpo di coda dei militari egiziani di Al-Sisi, si precipitò a inviare consiglieri militari in Egitto. Il paradosso di questi giorni è che proprio ciò che turba l’opinione pubblica occidentale riguardo aVladimir Putin ne rafforza le credenzialiagliocchi di Netanyahu – ma anche di altri attorimediorientali. Il secondo atout di Putin è che non abbandona i proprialleati, fosseropure canaglie conclamate o imbarazzanti figuredegnedelle parodie di Sasha Baron Cohen, con ville lussuose e ricchezze pacchianamente esibite mentre la popolazione patisce la fame. Putin è costante, e la costanza è apprezzata in contesti difficili.Dunque: razionalità e affidabilità. Pare poco, ma in Medioriente è tutto. Altrimenti non c’è negoziato con l’Iran che tenga.

FONTE : LIBERO



«Noi Serenissimi ancora pronti a difendere la nostra terra»

A 15 ANNI DAL«TANKO» A SAN MARCO. Il veronese membro del «governo» autonomista ricorda l´assalto a Venezia
di Giampaolo Chavan
http://www.larena.it

Andrea Viviani non esclude nuove azioni eclatanti in futuro: «Non c´è niente in programma ma se la situazione si aggrava…»

La premessa: «Per il momento lavoriamo alla luce del sole». L´avvertimento: «Se la situazione dovesse peggiorare, non posso escludere niente. C´è sempre bisogno di gesti eclatanti». Le azioni: «Interferenze nei tg come 15 anni fa? Un altro assalto in piazza San Marco? Per il momento, non c´è niente in programma».
Il ministro della giustizia del Veneto Serenissimo governo, il veronese Andrea Viviani appare combattivo più che mai a 15 anni dal clamoroso assalto sul campanile di San Marco. Nella notte tra l´8 e il 9 maggio del 1997, Viviani insieme all´altro veronese Luca Peroni, Gilberto Buson, Cristian e Flavio Contin, Moreno Menini e Fausto Faccia diedero vita all´azione a Venezia, un blitz di poche ore. All´assalto parteciparono anche lo stratega Luigi Faccia e l´ideologo Giuseppe Segato, morto nel 2006.
Il sogno di sempre di questi indomiti autonomisti è quello di restituire il Veneto ai suoi antichi splendori. «Dobbiamo pensare a difenderci», dice ancora Viviani. E se gli chiedi da cosa, lui decolla con la mente sui grandi temi. «Il capitalismo è fallito» attacca. E continua: «C´è la crisi e molti imprenditori si stanno suicidando. Le prospettive non sono rosee». Poi altro siluro, direzione Roma: «Monti non sta facendo niente per questa crisi economica». Si torna poi di nuovo al nord: «La Lega? Solo tante parole, tanta ideologia». Tutto fumo negli occhi: «Si procura i voti e poi non fa niente. Non c´è mai stato uno Stato centralista come adesso». Il chiodo fisso resta sempre quello: «Il Veneto merita qualcosa di meglio di quello che ci sta offrendo la politica adesso».
E per consolarsi si torna alla notte di 15 anni fa: «Una serata molto emozionante». Venezia di sera è uno spettacolo: «Ma come l´ho vista io è indimenticabile». Si è partiti la sera dell´otto maggio da Padova: «Eravamo molto agitati. La stanchezza iniziava a farsi sentire. Avevamo preparato l´azione da diversi anni». Dieci, per la precisione. Solo per costruire il famoso tanko, il veicolo di guerra utilizzato in Laguna, impiegarono 7, 8 anni. Ora quel mezzo simbolo dell´assalto è stato riscattato all´asta giudiziaria. «L´hanno preso gli altri», dice Viviani. E «gli altri» sta per i padovani ora non più autonomisti. Sono tutti fuori dal Veneto Serenissimo governo. Torna a quella sera Viviani, alla conquista di San Marco. Pochi attimi per realizzare il sogno di una vita. Un blitz trasformatosi poi in un incubo. con l´arrivo delle manette. «No, nessun incubo, era tutto previsto. Eravamo preparati a a tutto anche alle manette, faceva parte del gioco».
Il carcere, pochi mesi, 8 in tutto per una condanna a 4 anni e 4 mesi. Anche gli altri componenti del commando hanno pagato il debito con la giustizia. Pentito? «Non sono assolutamente pentito di ciò che ho fatto, visto poi come sono andate le cose», aggiunge Viviani. E pensare che dopo le vicissitudini giudiziarie, la lotta per l´autonomia del Veneto è continuato alla luce del sole. Con il «Veneto Serenissimo governo per l´autodeterminazione». C´è il presidente Luca Peroni, i ministri di interni, giustizia, esteri e ambiente. E ci sono le richieste sempre tante. Da quel governo, arrivano e mail ai giornali quasi tutte le settimane. E ieri non poteva mancare l´ennesimo comunicato: «In questi 15 anni il Veneto Serenissimo Governo ha continuato l´ attività politica e diplomatica affermandosi come lungimirante guida del processo di autodeterminazione ed autogestione del Popolo Veneto», riporta la nota. E conclude: «Ribelliamoci all´illegale occupante italiano e proclamiamo decine di Liberi Territori Veneti».
Lo slogan resta quello di sempre, il blitz in piazza San Marco un´impresa da scrivere nei libri di storia. Solo, però, per chi aderisce al Veneto serenissimo governo.




Oggi è Yom haAtzmaut, 64 anni con Israele

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


Cari amici,

 vi scrivo questa cartolina da Israele, dove accompagno un gruppo organizzato da Informazione Corretta. Oggi è Yom HaZicaron, il giorno del ricordo dei caduti nelle guerre che lo stato di Israele ha dovuto affrontare e delle vittime del terrorismo. Gli uni e gli altri insieme sono stati decine di migliaia nel tempo in cui prima il piccolo e debole insediamento ebraico e poi lo Stato di Israele, progressivamente più solido e ben stabilito ha dovuto affrontare sette guerre, infinite ondate terroriste, attentati, sabotaggi be boicottaggi di tutti i tipi. Solamente in quest’ultimo anno, che è stato abbastanza tranquillo, i morti delle forze di autodifesa e dell’ordine sono stati circa centoventi (http://www.imra.org.il/story.php3?id=56554 ). Può sembrare una piccola cifra, ma bisogna calcolarne l’impatto sulla popolazione, per esempio in proporzione all’Italia bisogna moltiplicare queste cifre per dieci volte. Il cordoglio è profondo, non c’è famiglia che non sia stata colpita direttamente o non conosca qualcuno che lo sia stato.
Alle 8 di sera di ieri, e poi di nuovo oggi alle 11 di mattina poi hanno risuonato a lungo le sirene in tutto il paese: è un attimo di angoscia e di riflessione, le macchine si fermano, tutti si immobilizzano e vivono collettivamente il lutto e il ricordo. Questa sera però sarà già subito Yom haAtzmaut, il giorno dell’indipendenza, e si festeggeranno i 64 anni dello Stato di Israele (secondo il calendario ebraico, la ricorrenza nel calendario occidentale è il 14 maggio). Israele ha ben ragione di felicitarsi, è stata toccata poco o nulla dalla crisi economica che scuote tutto il mondo, ha una scienza, una tecnologia, un’arte, una letteratura in piena fioritura, nonostante i nemici che la circondano e la tiepida alleanza – diciamo così – dell’Occidente, sa di poter contare su ingenti risorse morali e materiali, sull’intelligenza diffusa della sua popolazione e su una direzione politica seria e lungimirante (e proprio per questo sistematicamente diffamata dai nemici di Israele). Che il giorno dell’indipendenza segua subito quello della commemorazione dei caduti e che questo venga appena una settimana dopo quello dedicato al ricordo della Shoà è una decisione saggia e pedagogica del legislatore. Vi è una tradizione religiosa in questo senso.
Le feste ebraiche più liete sono spesso precedute da momenti di tristezza e di lutto: accade per Purim, per Pesach, per Sukkot, che sono introdotte ciascuna da un digiuno o da un momento penitenziale (per Sukkot sono i “giorni terribili” fra Kippur e Rosh haShanà). Ma soprattutto vi è una logica: quel tanto di benessere e di pace di cui dispone Israele oggi è stato conquistato col lutto, col sangue, con la determinazione, con scelte difficilissime. E anche oggi, sullo sfondo delle celebrazioni, sta la minaccia dell’Iran e del terrorismo, la prospettiva di una scelta veramente grave di cui il governo di Israele dovrà farsi carico: se e quando e come prendere l’iniziativa per impedire agli ayatollah di completare quell’arma atomica che stanno costruendo da sempre e che, anche se non usata direttamente sarebbe una terribile copertura per qualunque avventura terroristica e sovvertirebbe i fragili equilibri del Medio Oriente. Io ho fiducia se Israele prenderà la decisione giusta, saprà agire con saggezza e decisione.

Mi sarebbe piaciuto chiudere questa cartolina con la fiducia che ho appena espresso. Ma devo informarvi che se la stragrande maggioranza del popolo israeliano condivide i sentimenti che vi ho detto, vi è una minoranza piccola e screditata, solo pompata dalla stampa occidentale, che anche qui lotta contro Israele insultando i sentimenti della popolazione. Vi cito due episodi, che hanno fatto molto rumore: qualche giorno fa il monumento dei caduti nella valle del Giordano è stato vandalizzato da ignoti, che però hanno scritto i loro graffiti insultanti in caratteri ebraici e dunque molto probabilmente non sono arabi ma estremisti di sinsitra israeliani ( http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=266758 ); un’organizzazione di sinistra chiamata “combattenti per la pace” (un evidente ossimoro, ma già Stalin si era inventato i “partigiani della pace”) ha deciso di tenere oggi una contromanifestazione in cui ricordano i terroristi caduti (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/155067#.T5bCkNkm-So ). E’ incredibile come su piccoli gruppi di fanatici il desiderio di autodistruzione possa avere una tale forza ipnotica. Verrebbe voglia di condannare questi fatti all’insignificanza che hanno materialmente in un paese che è massicciamente coinvolto nell’amore e nella difesa del proprio stato. E però è bene sapere queste cose, perché testimoniano del veleno dell’ideologia, mostrano che non vi è limite all’assurdo, in Israele come in Italia. La consolazione è che questi “pacifisti combattenti” non contano niente, che Israele è ben decisa a difendersi e a continuare nel suo progresso. Questo si avverte parlando con le persone, camminando per strada, partecipando alle celebrazioni.

Ugo Volli




Il sergente Gilad Shalit è libero

l’articolo da Israele della nostra amica Deborah Fait


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" Vogliamo un altro Shalit, urlava la folla palestinese "

E’ tornato a casa. Gilad e’ tornato e tutto il popolo di Israele ha pianto di gioia.
La giornata e’ incominciata presto e abbiamo visto il nostro ragazzo uscire dall’auto in Egitto e trascinato letteralmente dai poliziotti egiziani. Camminava a fatica, le gambe non lo reggevano, magrissimo, pallido, respirava a fatica e aveva un sorriso timido e spaventato sul volto. 
Poi c’e’ stato lo stupro di un’intervista della TV egiziana,parlo di stupro psicologico perche’ e’ stato trascinato davanti a una TV egiziana, senza nemmeno essere visto da un medico  e  la giornalista lo ha letteralmente bombardato di domande cretine e provocatorie.
Gilad riusciva  a malapena a respirare, a un certo punto ha detto piano "mi sento male" ma nessuno dei presenti lo ha ascoltato . Accanto a lui c’erano due interpreti di hamas incappucciati e davanti a lui il volto impietoso della giornalista che lo incalzava forse pensando ai soldi che avrebbe guadagnato con questo scandaloso scoop della prima intervista a Gilad Shalit dopo 5 anni e tre mesi di prigionia.
L’ultima domanda e’ stata" adesso che tu sei libero, cosa pensi dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele, ti batterai per la loro liberazione?"
Con un filo di voce ha risposto educatamente:" Per me potrebbero andare liberi" poi ha ripreso fiato e ha continuato" purche’ non tornino in Israele ad ammazzare. Farebbero meglio ad occuparsi delle loro famiglie".
La sua risposta non e’ stata tradotta dall’interprete hamas.
Non si puo’ non notare la differenza tra l’etica  egiziana e quella israeliana dove tutti i giornalisti si sono imposti di non disturbare Gilad con riprese e domande e di non essere presenti al suo incontro con i genitori per rispettare nel modo piu’ totale la loro privacy. 
Grande Israele!
Un grande Paese cui sono orgogliosa di appartenere.
Gilad alla fine e’ tornato, dopo varie visite mediche ( lo staff dell’IDF era andato a prelevarlo con i piu’ sofisticati apparati medici, quelli usati a Haiti) Gilad e’ tornato nella sua Mizpe’ Hila’ dove migliaia di persone con le bandiere di Israele hanno fatto ala mandandogli baci e fiori, cantando "Gilad e’ tornato vivo" e dopo aver cosparso il tragitto verso la sua casa di rose bianche.
Gilad e’ tornato vivo, si, pallido , grigio in volto, debolissimo, il corpo coperto di ferite ma vivo e sorridente!
I giornalisti che facevano la cronaca durante tutta la giornata hanno detto colla voce tremante che quando Gilad ha sentito al telefono la mamma, prima di incontrarla (non esistono foto del loro incontro!) l’ha salutata come ogni ragazzo israeliano fa :" Hallo, Ima". 
Il prezzo pagato per riavere Gilad e’ stato pesantissimo e solo un paese forte, un popolo speciale possono decidere di pagarlo per la vita di un ragazzo.
Un popolo speciale che ha visto andare liberi e sghignazzanti i peggiori criminali, assassini di famiglie, assassini di bambini, assassini, canaglie, criminali accolti come eroi da chi e’ degno di loro. Gli assassini che abbiamo liberato non sono una parte deviante della societa’ palestinese, sono la societa’ palestinese stessa. I filmati del loro ritorno a casa mostrano ragazzoni grassi e ben portanti, pieni di forza, sghignazzanti, le dita alzate a V, la gente che li abbraccia e salta e urla "vogliamo un altro Shalit".
Si, amici, questo e’ quello che urlavano tutti, vogliamo un altro Shalit! Questa e’ la societa’ palestinese, un intero popolo pieno di odio e violenza, tanti milioni di cloni di assassini che vorrebbero solo il sangue di Israele.
Ieri la gioia per la liberazione di Gilad si mescolava al disgusto per la liberazione di tanti criminali accolti come eroi per aver ammazzato bambini, sterminato famiglie intere.
Con le cure e l’amore della sua famiglia e di tutta Israele Gilad tornera’ il ragazzo di prima. 
I mille liberati per lui resteranno sempre quello che sono : feccia, pericolosa feccia.
Bibi Netanyahu ieri ha concluso il suo breve discorso dicendo "Am Israel Hai!".
Il Popolo di Israele vive.




Giornale murale dei nostri ascoltatori -> Una curiosità ma fa piacere…

Giornale murale dei nostri ascoltatori  →   Una curiosità ma fa piacere…

Gentile redazione, abbiamo letto il vostro articolo "Il Vanatu ha riconosciuto l’Abkhazia", già dal 2008 è stata presa la decisione di riconoscere l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud da parte del Veneto Serenissimo Governo, vi inviamo il nostro documento in merito, vi preghiamo, se possibile di metterci in contatto con i rispettivi governi per iniziare le pratiche per iniziare dei colloqui di reciproca conoscenza. Se volete e ritenete opportuno siamo a disposizione per eventuali delucidazioni in merito.
grazie dell’attenzione che sempre ci prestate

per il Veneto Serenissimo Governo
il Ministro degli Esteri
Demetrio Serraglia
cell. +39 349 1847544

Ufficio di Presidenza

Apertura di rapporti diplomatici con le Repubbliche di Ossezia del Sud ed Abkhazia
La quasi totalità della comunità internazionale fa finta di non vedere e continua a fiancheggiare la criminale politica del presidente Georgiano Saakashvili, mentre sarebbe opportuno processarlo al tribunale internazionale dell’Aia per i crimini commessi e la pulizia etnica perpetuata nei confronti dei Popoli dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Sembra che sia diventata una prassi di alcuni Stati lo sponsorizzare i terroristi alla guida degli Stati: il Kosovo con il suo capo-terrorista dell’UCK Tachi stanno facendo scuola.
Gli Stati e le organizzazioni internazionali opponendosi all’indipendenza dell’Ossezia Meridionale e dell’Abkhazia si rendono complici dei bombardamenti subiti dalle varie località coinvolte dall’aggressione Georgiana tra cui Tskhinvali, Khetagurovo, e altre città della regione; l’edificio del Parlamento Osseto è bruciato, il complesso di edifici governativi e l’università sono stati distrutti, sono bruciati condomini residenziali e altre strutture nel centro della capitale osseta, gravi danni sono stati arrecati all’ospedale clinico cittadino, a scuole e giardini d’infanzia, e gran parte del centro storico, fra cui un importante monumento di interesse storico, il quartiere ebraico, è stato praticamente raso al suolo. Se l’ONU vuole stare a guardare e rendersi ancora complice dell’ennesimo criminale che infesta la Storia dell’umanità se ne assumerà tutte le responsabilità politiche, storiche e morali del caso: il Veneto Serenissimo Governo si dissocia dall’apatia e dalla complicità di chi non fa nulla o addirittura arma la mano del regime di Saakashvili.
Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, a fronte della continua politica terroristica perpetuata dalla Georgia nei confronti delle Popolazioni dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, prendendo positivamente in esame i rispettivi proclami di autodeterminazione con le conseguenti dichiarazioni d’indipendenza delle due Repubbliche Caucasiche di Ossezia del Sud ed Abkhazia, incarica il Ministro degli Esteri a pianificare una serie di incontri per iniziare adeguati rapporti diplomatici con queste nuove Repubbliche. Nel contempo si apriranno canali preferenziali con la Federazione Russa, quale Nazione incaricata di operare, dal 24 giugno 1992 come, forza di peacekeeping nell’area interessata dalle aggressioni Georgiane.

Longarone, 4 ottobre ’08

Il Presidente del Veneto Serenissimo Governo
Luca Peroni

Veneto Serenissimo Governo
Casella Postale 24- 36022 – Cassola (VI)
VENETO 
tel. 349 1847544 –  340 6613027



Ipotesi di dialogo in Libia

 
http://italian.ruvr.ru/2011/04/11/48766326.html
…Molti avrebbero dovuto notare, come scrive nel suo sito Demetrio Serraglia, che esiste uno strano traffico d’armi che in partenza dall’Iran arriva a Bengasi mentre un rivolo va verso il Libano….

11.04.2011, 15:39
 
Dalla Libia arrivano notizie confortanti. Sembrerebbe che la missione dell’Unione Africana abbia registrato un primo successo. Dopo l’accordo al dialogo di Gheddafi adesso la palla passa a Bengasi verso cui e’ partito il presidente del Sud Africa.
Il piano accettato prevede l’immediato cessate il fuoco, l’afflusso di aiuti umanitari alle zone toccate dal conflitto e l’avvio del dialogo fra i diversi gruppi sociali e tribali.
In questo contesto la sospensione delle incursioni aeree atlantiche potrebbe favorire  questo processo
Sui possibili sboccchi della crisi  si sofferma Aleksei Podzerob, ex ambasciatore della Russia in Libia:
"Dal mio punto di vista Gheddafi fara’ tutto il possibile per realizzare questa iniziativa che fra l’altro corrisponde alla politica fin qui seguita. Gia’’ in passato egli aveva lanciato l’idea di un negoziato, respinto pero’ dagli insorti".
Adesso e’ piu’ probabile che essa venga accolta.
In Libia la situazione attraversa una fase di stallo. Nonostante le incursioni aeree della Nato gli insorti si trovano sulla difensiva e arretrano dinanzi alle truppe lealiste.
Adesso la palla passa all’Occidente. Difficile dire quale sara’ la sua reazione. Comunque e’ evidente che si apre uno spiraglio di soluzione politica.
Intanto diventa sempre piu’ evidente che, defilatesi gli Stati Uniti per chiari propositi elettorali, l’Europa e’ incapace di esercitare un ruolo decisivo. A dispetto delle dichiarazioni propagandistiche della prima ora il potenziale bellico di Gheddafi e’ stato appena intaccato. I contatti diplomatici con l’opposizione creano imbarazzo e sconcerto.    Nessuno sa veramente chi siano questi insorti e quale guerra stia combattendo in Libia l’Occidente. E intanto si chiudono gli occhi  sul fatto che Al Qaaeda e’ veramente presente in Libia.
Molti avrebbero dovuto notare, come scrive nel suo sito Demetrio Serraglia, che esiste uno strano traffico d’armi che in partenza dall’Iran arriva a Bengasi mentre un rivolo va verso il Libano.
Al di la’ delle eccentricita’ care al cosiddetto “Serenissimo governo del veneto” sarebbe opportuno concentrarsi sui fatti e cioe’ sulla presenza o meno fra i capi della rivolta libica di due terroristi di Al Qaaeda.
In questo bisognerebbe tener presente il rischio di una somalizzazione della Libia a qualche decina di miglia dalle coste italiane.



I Serenissimi: «La Veneta Repubblica nell’Onu»

da www.gazzettino.it

Una Repubblica che, si legge nella dichiarazione di principio, «nasce di fronte alle continue violazioni dei trattati internazionali da parte dell’occupante italiano (armistizio di Cormons e pace di Vienna del 1866), i quali stabilivano il diritto del Popolo Veneto a esprimersi liberamente sulla ricostituzione di uno Stato Veneto indipendente». Ecco perché «fino a quando sarà regolarmente ristabilita l’autorità dello Stato» l’esecutivo nominato ieri «opererà come governo provvisorio della Veneta Serenissima Repubblica». Non manca un «appello alle Nazioni Unite, affinché assistano il popolo veneto nella ricostruzione del proprio Stato, e accolgano la Veneta Serenissima Repubblica nella famiglia delle Nazioni».

LONGARONE L’appello del movimento politico è stato lanciato ieri dopo la nomina dei componenti del nuovo Governo

I Serenissimi: «La Veneta Repubblica nell’Onu»


Domenica 30 Gennaio 2011,

È Longarone la capitale della "Veneta Serenissima Repubblica". E ieri, nella sala Popoli d’Europa, è stato nominato il Governo di unità patriottica. Sei le relazioni: presidenza del governo, presidenza della repubblica, interni, giustizia, esteri, ambiente ed energia. Fra i punti anche le cariche di governo. Il presidente della Repubblica, Luigi Massimo Faccia (condannato per l’assalto del campanile di Venezia), dopo aver «esaminato la situazione veneta e internazionale», ha nominato il Governo: Luca Peroni sarà presidente e coordinatore dei Liberi territori veneti; vice presidente Valerio Serraglia, anche ministro degli Interni e pianificazione economia autogestita, servizi sicurezza; ad Andrea Viviani Giustizia e lotta all’integralismo, Pubblica istruzione e Cultura patriottica; Demetrio Serraglia curerà Affari esteri e rifacimento del referendum del 1866, rapporti con i Veneti della diaspora; Mario Bonamigo Ricerca e ambiente, responsabile della Radio nazionale veneta; il bellunese Marco De Cesero, infine, è da ieri il luogotenente per Belluno e delegato per le aree montane.
      Una Repubblica che, si legge nella dichiarazione di principio, «nasce di fronte alle continue violazioni dei trattati internazionali da parte dell’occupante italiano (armistizio di Cormons e pace di Vienna del 1866), i quali stabilivano il diritto del Popolo Veneto a esprimersi liberamente sulla ricostituzione di uno Stato Veneto indipendente». Ecco perché «fino a quando sarà regolarmente ristabilita l’autorità dello Stato» l’esecutivo nominato ieri «opererà come governo provvisorio della Veneta Serenissima Repubblica». Non manca un «appello alle Nazioni Unite, affinché assistano il popolo veneto nella ricostruzione del proprio Stato, e accolgano la Veneta Serenissima Repubblica nella famiglia delle Nazioni».
      Nella relazione dedicata a ricerca e ambiente si legge: «Una comunità autogestita non può che avere un rapporto privilegiato con il territorio; da esso deve prendere secondo le proprie necessità; non rispettando queste condizioni si ottengono risultati devastanti come l’alluvione che ha colpito il Veneto il 1° novembre 2010». L’abbandono delle montagne, con la conseguente mancata pulizia dei letti dei fiumi, la scellerata cementificazione e la distruzione degli argini le cause di quel terribile evento». Garbato il riferimento allo «spettacolo indecente che offre la classe dirigente italiana». E una ricetta finale per uscire dalla crisi: stop all’economia globalizzata, costruire un nuovo patto con il territorio e la natura nel suo insieme, gettare le basi per un’economia potenzialmente autosufficiente.



La Serenissima e le punizioni per gli argini

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto
…«se alcuna persona averà ardimento de romper, spianar, bassar, over tagliar detti arzeri nostri, s’intendi immediate esser incorso in irremissibil pena d’essergli tagliata lamandestra et cavato un’occhio»…

Passata l’emozione per i tanti disastri che hanno sconvolto il nostro territorio per l’esondazione di fiumi, si sta mettendo in moto la macchina della giustizia per verificare se esistano responsabilità da omissione. Omissione di preallarme nell’immediato, ma poi occorrerà risalire a monte della catena, verificare se esistano violazioni del dovere d’ufficio; omissione di interventi che, secondo ragionevole prevedibilità, sarebbero stati idonei a scongiurarli quei disastri. E la giustizia penale farà il suo corso. Il nostro attuale Veneto è quello di sempre: una pianura piatta e bassa, sempre in guerra con i suoi fiumi. Parlando di giustizia penale potrebbe essere interessante verificare come quella guerra sia stata combattuta dei nostri Padri. E lo fu con leggi severissime. Ecco l’estratto di due, intitolate «in materia di romper arzeri». Una prima del Consiglio dei Dieci dell’ 8 Novembre del 1501, accertato che «alcuni si fanno lecito romper e spianar e tagliargli arzeri del novo alveo della Brenta con danno della Signoria Nostra, al qual inconveniente essendo necessario provveder», resta stabilito che «se alcuna persona averà ardimento de romper, spianar, bassar, over tagliar detti arzeri nostri, s’intendi immediate esser incorso in irremissibil pena d’essergli tagliata lamandestra et cavato un’occhio». Mezzo secolo dopo il Senato, con legge del 24 agosto 1568, torna sul tema, imponendo «a cadaun delli Rettori delle Città, Terre e Luoghi Nostri di Terra Ferma presenti & futuri, che una volta all’anno abbiano a far proclamar nelli luoghi soliti, che s’alcuno sarà così ardito, che abbia a romper, tagliar, o far tagliar gli arzeri o strade pubbliche in qual si voglia luogo della Signoria Nostra.
Con danno d’alcuna terza persona, sia irremissibilmente punito di pena capital, della quale non gli possa esser fatta gratia né remission alcuna per qual si voglia via, modo, forma, ovvero ingegno, che dir o imaginar si possa». È regola generale di tutti gli ordinamenti che l’individuazione dei reati e la severità della pena rispecchiano la scala dei valori vissuti in quel particolare momento storico: da sempre, per stroncare il ripetersi di certi delitti se ne inaspriscono le pene. Pur collocate nel contesto crudele dell’epoca ma anche nella ben nota inesorabilità della giustizia veneziana, le due leggi cinquecentesche stanno ad indicare l’importanza attribuita dalla Serenissima alla tutela degli argini . Non che alluvioni e disastri siano stati evitati, ma erano certo meno frequenti di quelli attuali.
Il che, valutate le enormemente diverse sia cognizioni scientifiche che mezzi tecnici, sta a dire d’una cura incomparabilmente più efficace dell’attuale. Ma c’è un aspetto propriamente giuridico da considerare: allora, argini e strade erano della Repubblica; ora, nell’attuale assetto costituzionale sono della gente e coloro che ne hanno la cura sono al servizio della gente; lo stabilisce l’articolo 98 della Costituzione. Presidenti, assessori, direttori tecnici, guardiani idraulici e quant’altro sono al servizio della gente ed hanno il preciso dovere di accudire alla loro funzione con disciplina e onore, impone l’articolo 54 sempre della Costituzione. Ci vorranno certo perizie, verifiche, accertamenti, ma – e non occorre certo ricordarlo ai giudici- c’è una normetta cattivella nel nostro codice penale, l’articolo 40: «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo ». Fossimo nel Cinquecento veneziano, forse cadrebbe qualche man destra e qualche occhio.
Ivone Cacciavillani
16 novembre 2010