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Veneto e spagnolo: fratelli di lingua

Viaggiare verso mete ispanofone è sicuramente rassicurante per un veneto poiché gli pare sempre di essere un po’ a casa propria. Molti di noi viaggiano spesso fieri e orgogliosi con la simpatica convinzione di poter comunicare tranquillamente articolando quel veneto puro e schietto che tanto ci accomuna. Aggiungendo poi un tocco spagnoleggiante, come le immancabili esse a fine parola, si ingegna una variante linguistica inesistente e ibrida, ma certamente esotica alle nostre orecchie. Ebbene, su questa leggera versione dei fatti si poggia certamente un basamento veritiero.

 

Lo spagnolo deriva da una forma volgare delle lingue romanze. Essendo una lingua viva e quindi in perenne mutamento, come avviene nelle lingue standard, non si è calcificata in una fisionomia riposata, al contrario ha assorbito poi le relative influenze del caso.  A partire dal celtico, che ha originato la variante nordica del basco, terminando con l’arabo, infiltratosi diacronicamente nel castigliano, a causa dei quasi mille anni di dominazione dei mori.
Tali ceppi hanno donato un contributo linguistico incisivo soprattutto nelle influenze legate alla modulazione fonologica delle parole, come il fenomeno della dittongazione, visibile in “cuerpo” e “tierra”, o la lenizione consonantica della lettera “t” alla lettera “d” in “vida”, o della “p” alla “b”, in “cabo”, o ancora la palatizzazione della “n” indotta a “ñ”, come in “año”. L’evoluzione diatopica in Spagna presenta invece varianti linguistiche estremamente diverse, tali da testimoniare la comparsa di ben tre lingue co-ufficiali, sommando catalano, basco e gallego a quello che si considera grossolanamente lo spagnolo in senso generale, ma che in realtà si riconosce con castigliano. È questa infatti la lingua spagnola per definizione, che conosciamo a tutte le latitudini e alla quale associamo il veneto. Idioma che ha dimensioni immense, utilizzata da più di 350 milioni di persone nel mondo, una tra le lingue franche per eccellenza, chiaramente dopo l’inglese.
Il veneto deriva da un sostrato linguistico del volgare compenetrato da un antico gruppo indoeuropeo e in particolare paleoveneto, il venetico. Con lo spagnolo spartisce certamente una base romanza comune, in cui sono confluite caratteristiche in qualche modo simili o parallele. Per esempio, certe somiglianze lessicali portano all’uso erroneo dell’accezione dei falsi amici. Capita di essere al ristorante in Spagna e ordinare una pasta senza “burro”, senza sapere che tale termine sta per “asino”. Se poi il cameriere ci chiede se vogliamo “aceite”, intende “olio d’oliva”, mentre se ci propone “setas”, intende dei “funghi”. La “mancia” in italiano coincide fonologicamente con il rispettivo omofono spagnolo “macchia”, mentre si traduce con “propina”.
Ci sono poi termini che palesano una valenza molto similare, dove però lo spagnolo o viceversa ha subìto uno slittamento semantico: il “destino”, significa sì destino nel senso di fato, ma anche  destinazione spaziale, temporale e addirittura impiego. Tornando invece al veneto, molti sarebbero gli esempi di parallelismo lessicale, primo tra tutti la sparizione delle doppie. Anche i suffissi -in, -on, -azo, appartenenti a molte terminazioni di sostantivi spagnoli, ricordano senz’altro il modo di parlare nostrano quando si vuole estremizzare con funzione accrescitiva e negativa termini basici, quali un “sapienton” o un “postasso”, mentre altri casi esaltano una sfumatura vezzeggiativa e affettiva, come in “picenin”.
Un’altra analogia si manifesta con la conservazione del genere nel binomio veneto-spagnolo, per esempio “a sae” e “a late”, “la sal” e “la leche”,  parole maschili in italiano, ma deviate al femminile in determinate aree della regione. Esistono poi termini coincidenti sia di forma che di significato, come nei gradi di parentela con “cuñado” e “padrín”, nell’abbigliamento con “calcetín” e “braguita”, in cucina con “cereza” o “naranja”, “el limón” e “el melón”, sulle parti del corpo con “pie”, “panza”, “dedo”. Altre terminologie hanno mutato integralmente il loro nucleo semantico conservando solo il significante,  esprimendosi in esempi eclatanti come “comodín” che significa “jolly” o “toalla” che corrisponde ad’“asciugamano”. All’interno della sintassi troviamo poi costrutti morfologici spagnoli evocanti espressioni prettamente nostrane, quali “pásame una cuchara para tu amigo” o “dame un poco de pan, gracias”. Anche le espressioni “sería bello dormir mucho”, “me sentaría en el sofá”, “estoy deprisa todo el día”,  non sono aliene al nostro sistema linguistico.
Uma nota speciale va apportata alla parlata veneziana che adopera nel suo vocabolario personale termini toponomastici che ricalcano con l’omonimo in lingua, tra cui “calle” nel senso di “via” e “rio” nel senso di “fiumiciattolo”. Oltre a una corrispondenza linguistica densa e affascinante con il veneto, lo spagnolo conferma la medesima identificazione anche negli aspetti extralinguistici come il modo stravagante di porsi insieme alla semplicità e spontaneità. Espressione questa che viene spesso confusa con una mancanza di eleganza e gusto, una schiettezza troppo semplicistica.

Nonostante si indichi il veneto come una minoranza linguistica poco prestigiosa e magari alquanto derisa dai puristi italiani, non si può evidentemente negare la forza di una piccola comunità che con fascino e potenza ha trasmesso una lingua e una cultura assolutamente uniche. Sono questi i risultati delle co-influenze venete in tutto il mondo, ed è con orgoglio e fierezza che sento di appartenere e condividere dettagli nostrani con una lingua tra le più calde e, permettetemi, “calienti” del globo.

dott.ssa Giorgia Miazzo
giorgiamiazzo@gmail.com