1

Da dove e come vogliamo iniziare a cambiare il mondo?

 

…Ogni volta che sento parlare del conflitto Israele-palestinese dai “filopaelstinesi” non sento parlare in favore di Palestina ma solo contro Israele. Questo non significa forse depotenziare ed annullare l’identità palestinese? Perché abbiamo permesso che ci fosse un manifesto antisemita in una festa per i diritti di tutti i popoli? Perché non invitare un’associazione delle molte che ci sono e che lavorano seriamente per il dialogo su problemi concreti tra questi due popoli?…
…“Pace per Israele significa sicurezza, e dobbiamo con tutti i nostri mezzi proteggere il suo diritto a esistere. Israele è uno degli importanti avamposti della democrazia nel mondo, è un meraviglioso esempio di come una terra arida può essere trasformata in un’oasi di fratellanza e democrazia. Pace per Israele significa sicurezza, e la sicurezza deve essere reale.”…

 

Mi trovo a passeggiare per le vie di Varese, conosco dai manifesti l’indirizzo di questa iniziativa ed è con fiducia che mi muovo incontro alla possibilità nuova di stare per le strade da parte di popoli a dire di sé in un altrove che è la città in cui vivo.
Non mi sono voluta frenare all’assenza rappresentata nel manifesto, ho preferito andare oltre e attribuire ad un errore, ad una svista inconsapevole… mi coglie improvvisa come il dilatarsi del gelo nella pancia quando fuori fa troppo caldo. Non so se vi è mai capitato di anelare ad una bevanda fresca mentre il caldo s’è fatto improvvisamente soffocante, la rapidità con la quale il liquido ghiacciato rende sollievo è il dolore che imperla la fronte, così la giornata estiva si trasforma presto in una sofferenza acuta.
Tra i banchetti uno, sventola bandiere di Palestina, nel mezzo “NO ALL’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DI MILANO” un dolore acuto che viene dal sangue mi parla di qualcosa che ancora non cessa. Si veste diversamente ma somiglia pericolosamente a ciò che in maniera subdola ha concesso ad una nazione di giustificare una strage.
Resta la semplicità delle parole di Gilad Shalit (* vedi sotto) a dire cosa significa essere prigionieri, di qualcosa o qualcuno che prescinde dai contenuti e che assume ideologicamente una posizione.
Quando si parla di rifugiati, di autodeterminazione dei popoli, di libertà di diritti, di rispetto per la vita umana occorre non prescindere e non fare propaganda perché tutto ha diritto d’asilo dentro un crocevia di strade colorate che domanda solo di riconoscere l’alterità come valore.
M’indigna l’incapacità di questo movimento di chiamarsi fuori dalla falsità di difendere la vita per la vita stessa, l’incapacità di uscire dagli schemi per riconoscere la radice, la volontà profonda di un popolo che democraticamente lotta un istante dopo l’altro per restare in vita, per creare vita.
Perché quella che crede di potersi definire sinistra in questo paese non è in grado di vedere quanto il debito con il popolo d’Israele sia grande? E non voglio riferirmi con facilità a Marx figlio di questa nazione gloriosa che da sempre soffre la diaspora perché sarebbe troppo facile, mi riferisco all’unico luogo nel quale si sia realizzato il socialismo vero, il kibbutz. Mi riferisco a quelli e quelle che hanno provato a realizzare ciò che oggi qui neppure si riesce più a sognare. Come può questa specie di paese che si chiama Italia pensare d’uscire da questa situazione di deriva politica e morale senza radici? Annullate quelle che erano nel territorio, annullate quelle create dalla resistenza con l’inserimento nelle fila del PCI dei fascisti, annullato il germoglio sano e pacifista degli anni settanta facendone un tutt’uno con il terrorismo, annullato il movimento studentesco, ora pretende d’annullare questo bisogno profondo di partecipazione di rivoluzione pacifica.
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è centrale in questo momento, ne sono la prova il movimento delle piazze in Spagna come l’esito dei referendum qui, occorre però riconoscere ad ogni popolo lo stesso diritto. Israele si fonda sulla volontà di un popolo di vivere e basta andarci per comprenderlo, il popolo palestinese ha lo stesso diritto ad autodeterminarsi alla vita, quindi proviamo a non riconoscere quelli che arrogandosi il diritto di governarlo in realtà lo spingono alla morte. Promuoviamo quelli che tra israeliani e palestinesi lottano insieme perché sia possibile la vita, non radicalizziamo le posizioni di conflitto schierandoci contro o a favore a priori.
Ogni volta che sento parlare del conflitto Israele-palestinese dai “filopaelstinesi” non sento parlare in favore di Palestina ma solo contro Israele. Questo non significa forse depotenziare ed annullare l’identità palestinese? Perché abbiamo permesso che ci fosse un manifesto antisemita in una festa per i diritti di tutti i popoli? Perché non invitare un’associazione delle molte che ci sono e che lavorano seriamente per il dialogo su problemi concreti tra questi due popoli?
Se questa è “una presenza non ideologica, ma concreta, fatta di attenzione ai loro problemi” forse è il caso che cominciamo a porci un problema semantico!
Mi auguro vivamente che la CGIL produca al proprio interno un dibattito serio in merito ed invito tutti a leggere le parole che Martin Luther King scrisse ad un amico in merito. Sono sue le parole che riecheggiano nelle piazze degli ultimi tempi Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone oneste”.
Edith Besozzi

Sul Sionismo”, Martin Luther King

“Pace per Israele significa sicurezza, e dobbiamo con tutti i nostri mezzi proteggere il suo diritto a esistere. Israele è uno degli importanti avamposti della democrazia nel mondo, è un meraviglioso esempio di come una terra arida può essere trasformata in un’oasi di fratellanza e democrazia. Pace per Israele significa sicurezza, e la sicurezza deve essere reale.”
“Il popolo negro, amici miei, sa bene che cosa vuol dire soffrire il tormento della tirannia sotto un tiranno che non ci siamo scelti. I nostri fratelli in Africa hanno mendicato, implorato, supplicato, chiedendo che venisse riconosciuto ed attuato il nostro congenito diritto a vivere in pace sotto la nostra sovranità e nel nostro paese.”
“Come dovrebbe essere facile, per chiunque abbia a cuore questo inalienabile diritto umano, comprendere e sostenere il diritto del popolo ebraico a vivere nell’antica terra d’Israele. Gli uomini di buona volontà esultano nel vedere la promessa di Dio realizzata, nel vedere il suo popolo che torna gioiosamente a ricostruire la sua terra devastata. Questo è il Sionismo, niente di più e niente di meno.”
“Cos’è invece l’anti-sionismo? E’ il negare al popolo ebraico quel diritto fondamentale che giustamente oggi riconosciamo ai popoli dell’Africa e che siamo pronti a concedere a tutte le altre nazioni del mondo. Si tratta, amici miei, di discriminazione contro gli ebre
i, a causa della loro ebraicità
. Si tratta cioè di antisemitismo.”
L’antisemita gode di ogni opportunità che gli consente di esprimere il suo pregiudizio. Al giorno d’oggi però, in Occidente, proclamare che si odiano gli ebrei è diventato molto impopolare. Di conseguenza, l’antisemita deve costantemente inventare nuove forme e nuove sedi per il suo veleno. Deve camuffarsi. E allora non dice più di odiare gli Ebrei, ma solo di "essere anti-Sionista.”
“Cari amici, non vi accuso di essere deliberatamente antisemiti. So che, al pari di me, siete contrari al razzismo, al pregiudizio e alla discriminazione. So però anche che siete stati sviati – al pari di altri – dall’idea che è possibile essere “antisionisti” pur rimanendo fedeli ai principi che assieme condividiamo. Spero che le mie parole vi riecheggino nell’anima: quando la gente critica il Sionismo vuole dire che ce l’ha con gli ebrei; non facciamoci ingannare.”
(Da M.L. King Jr., "Lettera a un amico antisionista" Saturday Review, n. XLVII, agosto 1967, p. 76. Ristampata in M.L. King Jr., "This I Believe: Selections from the Writings of Dr. Martin Luther King Jr.", New York, 1971, pp. 234-235.) –

( * )

"Lo Squalo e il Pesciolino" di Gilad Shalit (11 anni)


Racconto ritrovato dalla maestra e pubblicato in un libro per bambini
Anni prima di diventare un caporale e di essere rapito dai militanti palestinesi, l’11enne Gilad Schalit scrisse una semplice parabola sul come cavarsela con i nemici. Il soldato israeliano Schalit, che oggi ha 24 anni, è stato rapito a giugno 2006 dai militanti di Hamas nella Striscia di Gaza durante un raid israeliano al confine.
Due suoi commilitoni sono rimasti uccisi nell’attacco. Le trattative segrete per uno scambio di prigionieri sono bloccate da tempo e lui rimane prigioniero a Gaza.
La storia del piccolo Shalit si intitola: "Quanto lo squalo e il pesce si incontrarono per la prima volta". E’ stata pubblicata in un libro per bambini: 64 pagine, illustrate da 29 artisti israeliani. Il progetto è inoltre in mostra alla galleria di Nahariya, la città del Mediterraneo, nel nord di Israele, dove Schalit è nato.
La storia, scritta da Schalit nel 1997, racconta di uno squalo che sta per mangiare un pesciolino. Ma i due iniziano a giocare a nascondino e poi diventano amici. La mamma-squalo è però contraria a questa amicizia: "Il pesce è un animale che mangiamo. Non giocare con lui", gli dice. "Lo squalo è l’animale che ha divorato tuo padre e tuo fratello, non giocare con lui", gli dice la mamma-pesce. Dopo essersi evitati per un anno, i due si rincontrano. Lo squalo: "Sei un nemico, ma possiamo fare la pace?". Il pesce si dice d’accordo e i due annunciano la rinata amicizia alle madri. "Da quel giorno – scriveva Schalit – lo squalo e il pesce hanno vissuto in pace".
A trovare la storia è stata un’insegnante del soldato rapito, mentre faceva le pulizia di primavera quattro anni fa e l’ha fatta avere alla famiglia. "E’ il messaggio di un bambino di 11 anni che crede che anche i nemici alla fine possono vivere insieme", ha commentato il padre Noam Schalit. "Un racconto – ha aggiunto – oggi molto attuale".
(LiberaliPerIsraele)

Lo Squalo e il Pesciolino

Disegno originale di Gilad Shalit
Un pesciolino, placido e piccolino, nuotava nel bel mezzo del mare tranquillo .
All’improvviso, il pesciolino vide uno squalo che se lo voleva mangiare.
Si mise allora a nuotare veloce veloce, ma lo stesso fece lo squalo.
Improvvisamente il pesce si fermo’ e disse allo squalo: “Perche’ mi vuoi mangiare? Potremmo giocare assieme!”
Lo squalo penso’ e penso’ e poi gli disse:
“E va bene: giochiamo a nascondino”.
Lo squalo e il pesce giocarono così
per tutta la giornata, fino a quando il sole tramonto’.
La sera, lo squalo fece ritorno a casa sua.
Sua madre gli chiese: “Com’e’ andata oggi, mio caro squalo? Quanti animali ti sei mangiato?”
Lo squalo rispose: “Oggi non ho mangiato nessun animale, ma ho giocato con un animale chiamato Pesce.”
“Quel Pesce e’ un animale che noi mangiamo. Non giocarci con lui!” disse la mamma dello squalo.
A casa del pesce, accadde la stessa cosa. “Come stai, pesciolino? Com’e’ andata la giornata oggi a mare?” chiese la mamma del pesce.
Il pesce rispose: “Oggi ho giocato con un animale chiamato Squalo”.
“Quello squalo e’ l’animale che ha mangiato tuo papa’ e tuo fratello. Non giocare con quell’animale”, aggiunse la madre.
Il giorno dopo nel bel mezzo dell’oceano non ci andarono ne’ lo squalo ne’ il pesce.
Non s’incontrarono per molti giorni, settimane e perfino mesi.
Poi, un giorno si videro. E tutt’e due scapparono di corsa dalla loro mamma e di nuovo non s’incontrarono per giorni, settimane e mesi.
Dopo che un anno era passato, lo squalo uscì per una bella nuotata e la stessa cosa fece il pesce. S’incontrarono così per la terza volta e allora lo squalo gli disse: “Tu sei mio nemico, ma forse possiamo vivere in pace.”
Il pesciolino rispose: “Va bene”.
Giocarono assieme di nascosto per giorni, settimane e mesi, fino a quando, un giorno, sia lo squalo che il pesce non andarono a trovare la mamma del pesce e le parlarono.
Poi fecero la stessa cosa con la mamma dello squalo;
e da quel giorno gli squali e i pesci vivono in pace.

FINE
Di Gilad Shalit (a 11 anni)