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Auguri al Veneto Serenissimo Governo per i suoi 30 anni di lotta

Per il Veneto Serenissimo Governo il 2017 è un anno ricco di anniversari, esattamente 30 anni fa, il 25 gennaio 1987, indomiti patrioti diedero vita a quello che doveva essere un movimento in grado di risvegliare le coscienze dei Veneti drogate dalla falsa e retorica propaganda italiana e nello stesso momento portare alla ribalta internazionale il caso Veneto.

L’obbiettivo era dare al nostro Popolo la possibilità di decidere autonomamente il proprio futuro riparando cosi al criminale danno perpetrato dallo stato italiano con il referendum truffa del 1866 seguito da più di un secolo di occupazione e depauperamento del nostro territorio, cancellazione della nostra storia e sfruttamento della nostra gente.

Da quel giorno iniziarono i lavori che portarono alla liberazione di piazza San Marco del 9 maggio 1997, pochi giorni prima del 200° anniversario della caduta della nostra amata Patria: la Veneta Serenissima Repubblica per mano del criminale Napoleone.

Il 9 maggio 1997 resterà nella storia perché ha contribuito al risveglio dello spirito Veneto e portato all’attenzione mondiale le rivendicazioni del nostro Popolo, tutto questo, non dimentichiamoci, senza torcere un capello a nessuno.

Oggi, come negli ultimi 30 anni, il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, è deciso e risoluto nel continuare la lotta che da sempre ha portato avanti, il nostro unico obbiettivo è l’indipendenza del Veneto e far tornare la nostra Patria nel consesso internazionale alla pari delle altre nazioni.

In occasione di queste ricorrenze il Veneto Serenissimo Governo ha preparato un video con il messaggio di auguri per il 2017 del presidente Luca Peroni, e con immagini che ricordano il lavoro del governo dal 9 maggio ad oggi: link al video che questo nostro piccolo lavoro sia di ulteriore sprone a chiunque abbia a cuore la nostra Patria e che voglia lavorare per un futuro migliore per tutti noi e le generazioni future.

W San Marco

W la Veneta Serenissima Repubblica

W il Veneto Serenissimo Governo

Longarone, 24 gennaio 2017




A vent’anni dalla liberazione di Piazza San Marco un Referendum per la Libertà del Veneto

L’anno 2017 a quanto sembra dovrebbe essere l’anno del referendum per l’autodeterminazione del Veneto. Sì lo so formalmente questo referendum ha un nome un po strano ovvero “referendum sull’autonomia del Veneto”. Autonomia? Cosa vuol dire? Saranno i Veneti con il loro agire, con la loro volontà e forza a determinare il livello di autonomia che vorranno. Io mi auguro, anzi sono sicuro che i Veneti decideranno che l’autonomia divenga autogestione ed indipendenza delle Terre Venete ricostituendo la Repubblica Veneta attraverso l’istituto della democrazia diretta interpretato dal referendum.

I Veneti vogliono il referendum, i Veneti vogliono riappropriarsi del libero arbitrio, quello che è stato loro sottratto dalla farsa plebiscitaria del 1866 voluta dalla feccia savoiarda. Già vari prezzolati accademici e politicanti stanno denigrando le genti venete, stanno mistificando la storia dalle proprie cattedre universitarie e dai vari seggi che occupano. Questi loschi personaggi si ricordino che la storia non perdona chi mente, e che già un Goebels, con le proprie menzogne, è finito nella pattumiera della storia.

L’indizione di questo referendum è un successo della decennale lotta del ricostituito Veneto Serenissimo Governo, degli indomiti patrioti che a tutti i livelli lo hanno sostenuto, dei gloriosi giorni della liberazione di Piazza San Marco del 1997, primo atto pubblico di consapevolezza identitaria dei patrioti Veneti che rivendicavano il diritto dei Veneti a ritornare ad essere nazione indipendente.

A vent’anni dai fatti del 1997, nonostante la repressione portata avanti dall’occupante italiano e dai propri lacchè locali, abbiamo l’occasione di gridare al mondo che il Popolo Veneto non è morto, con la stessa indomita forza del Leone dei nostri gonfaloni i veneti hanno ripreso a ruggire per riaffermare il proprio anelito alla libertà.

Dobbiamo prepararci ad una mobilitazione generale per portare in tutte le città, in ogni contrada, in ogni valle il nostro sogno di libertà. L’occupante italiano non starà a guardare, tenterà di mistificare la realtà, negherà la verità storica ed in questo sporco gioco sarà aiutato da veneti di nome ma non di fatto.

La nostra forza di Veneti che amiamo il Veneto travolgerà tutto, il futuro della nostra terra ci appartiene, usiamo il referendum per riappropriarcene senza timore. Non dobbiamo vergognarci della storia della nostra terra, è la nostra storia con tutti i pregi e difetti, nessuno potrà rubarcela o strumentalizzarla per danneggiarci.

Venete e Veneti dobbiamo essere un sol corpo e muoverci senza paura e senza timore, e senza cadere ai tatticismi italiani, andare sicuri verso la libertà.

Referendum subito per la libertà del Veneto!

Longarone, 11 gennaio 2017

Per il Veneto Serenissimo Governo

il vicepresidente

Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia




Orazione del doge Loredan in Senato in preparazione della difesa di Padova nella guerra di Cambrai

File:Bellini.doge.600pix.jpg 
…Torna ora a noi l’occasione di recuperare quello ornamento, non perduto, se noi vorremo essere uomini, ma smarrito; perché andando incontro alla avversità della fortuna, offerendoci spontaneamente a’ pericoli, cancelleremo la infamia ricevuta; e vedendo non essere perduta in noi l’antica generosità e virtú, si ascriverà piú tosto quel disordine a una certa fatale tempesta (alla quale né il consiglio né la costanza degli uomini può resistere) che a colpa e vergogna nostra…

 

– Se, come è manifestissimo a ciascuno, prestantissimi senatori, nella conservazione della città di Padova consiste non solamente ogni speranza di potere mai recuperare il nostro imperio ma ancora di conservare la nostra libertà, e per contrario se dalla perdita di Padova ne seguita, come è certissimo, l’ultima desolazione di questa patria, bisogna di necessità confessare che le provisioni e preparazioni fatte insino a ora, ancorché grandissime e maravigliose, non siano sufficienti, né per quello che si conviene per la sicurtà di quella città né per quello che si appartiene alla degnità della nostra republica; perché in una cosa di tanta importanza e di tanto pericolo non basta che i provedimenti fatti siano tali che si possa avere grandissima speranza che Padova s’abbia a difendere, ma bisogna sieno tanto potenti che, per quel che si può provedere con la diligenza e industria umana, si possa tenere per certo che abbino ad assicurarla da tutti gli accidenti che improvisamente potesse partorire la sinistra fortuna, potente in tutte le cose del mondo ma sopra tutte l’altre in quelle della guerra. Né è deliberazione degna della antica fama e gloria del nome viniziano che da noi sia commessa interamente la salute publica, e l’onore e la vita propria e della moglie e figliuoli nostri, alla virtú di uomini forestieri e di soldati mercenari, e che non corriamo noi spontaneamente e popolarmente a difenderla co’ petti e con le braccia nostre; perché se ora non si sostiene quella città non rimane a noi piú luogo d’affaticarci per noi medesimi, non di dimostrare la nostra virtú, non di spendere per la salute nostra le nostre ricchezze: però, mentre che ancora non è passato il tempo di aiutare la nostra patria, non debbiamo lasciare indietro opera o sforzo alcuno, né aspettare di rimanere in preda di chi desidera di saccheggiare le nostre facoltà, di bere con somma crudeltà il nostro sangue. Non contiene la conservazione della patria solamente il publico bene, ma nella salute della republica si tratta insieme il bene e la salute di tutti i privati, congiunta in modo con essa che non può stare questa senza quella; perché cadendo la republica e andando in servitú, chi non sa che le sostanze l’onore e la vita de’ privati rimangono in preda dell’avarizia della libidine e della crudeltà degli inimici? Ma quando bene nella difesa della republica non si trattasse altro che la conservazione della patria, non è questo premio degno de’ suoi generosi cittadini? pieno di gloria e di splendore nel mondo e meritevole appresso a Dio? Perché è sentenza insino de’ gentili, essere nel cielo determinato uno luogo particolare il quale felicemente godino in perpetuo tutti coloro che aranno aiutato conservato e accresciuto la patria loro. E quale patria è giammai stata che meriti di essere piú aiutata e conservata da’ suoi figliuoli che questa? la quale ottiene e ha ottenuto per molti secoli il principato intra tutte le città del mondo, e dalla quale i suoi cittadini ricevono grandissime e innumerabili comodità utilità e onori: ammirabile se si considerano o le doti ricevute dalla natura, o le cose che dimostrano la grandezza quasi perpetua della prospera fortuna, o quelle per le quali apparisce la virtú e la nobiltà degli animi degli abitatori. Perché è stupendissimo il sito suo; posta, unica nel mondo, tra l’acque salse, e congiunte in modo tutte le parti sue che in uno tempo medesimo si gode la comodità dell’acqua e il piacere della terra; e sicura, per non essere posta in terra ferma, dagli assalti terrestri; sicura, per non essere posta nella profondità del mare, dagli assalti marittimi. E quanto sono maravigliosi gli edifici publici e privati! edificati con incredibile spesa e magnificenza, e pieni di ornatissimi marmi forestieri e di pietre singolari condotte in questa città da tutte le parti del mondo; e quanto ci sono eccellenti le pitture le statue le sculture gli ornamenti de’ musaici e di tante bellissime colonne e d’altre cose simiglianti! E quale città si truova al presente ove sia maggiore concorso delle nazioni forestiere? che vengono qui, parte per abitare in questa libera e quasi divina stanza sicuramente, parte per esercitare i loro commerci; onde Vinegia è piena di grandissime mercatanzie e faccende, onde crescono continuamente le ricchezze de’ nostri cittadini, onde la republica ha tanta entrata del circuito solo di questa città quanta non hanno molti re degli interi regni loro. Lascio andare la copia de’ letterati in ogni scienza e facoltà, la qualità degli ingegni e la virtú degli uomini, dalla quale congiunta con le altre condizioni è nata la gloria delle cose fatte, maggiori da questa republica e dagli uomini nostri che da’ romani in qua abbia fatto patria alcuna. Lascio andare quanto sia maraviglioso vedere in una città nella quale non nasca cosa alcuna, e che sia pienissima di abitatori, abbondare ogni cosa. Fu il principio della città nostra ristretto in su questi soli scogli sterili e ignudi, e nondimeno, distesasi la virtú degli uomini nostri prima ne’ mari piú vicini e nelle terre circostanti, dipoi ampliatasi con felici successi ne’ mari e nelle provincie piú lontane, e corsa insino nell’ultime parti dello Oriente, acquistò per terra e per mare tanto imperio, e tennelo sí lungamente, e ampliò in modo la sua potenza che, stata tempo lunghissimo formidabile a tutte l’altre città d’Italia, sia stato necessario che ad abbatterla siano concorse le fraudi e le forze di tutti i príncipi cristiani: cose certamente procedute con l’aiuto del sommo Dio, perché è celebrata per tutto il mondo la giustizia che si esercita indifferentemente in questa città; per il nome solo della quale molti popoli si sono spontaneamente sottoposti al nostro dominio. Già a quale città, a quale imperio cede di religione e di pietà verso il sommo Dio la patria nostra? ove sono tanti monasteri, tanti templi, pieni di ricchissimi e preziosissimi ornamenti di tanti stupendi vasi e apparati dedicati al culto divino, ove sono tanti ospedali e luoghi pii ne’ quali, con incredibile spesa e incredibile utilità de poveri, si esercitano assiduamente le opere della carità? È meritamente per tutte queste cose preposta la patria nostra a tutte l’altre, ma oltre a queste ce n’è una per la quale sola trapassa tutte le laudi e la gloria di se medesima. Ebbe la patria nostra in uno tempo medesimo l’origine sua e la sua libertà, né mai nacque né morí in Vinegia cittadino alcuno che non nascesse e morisse libero, né mai è stata turbata la sua libertà; procedendo tanta felicità dalla concordia civile, stabilita in modo negli animi degli uomini che in uno tempo medesimo entrano nel nostro senato e ne’ nostri consigli e depongono le private discordie e contenzioni. Di questo è causa la forma del governo che, temper
ato di tutti i modi migliori di qualunque specie di amministrazione publica e composta in modo a guisa di armonia, proporzionato e concordante tutto a se medesimo, è durato già tanti secoli, senza sedizione civile senza armi e senza sangue tra i suoi cittadini, inviolabile e immaculato; laude unica della nostra republica, e della quale non si può gloriare né Roma né Cartagine né Atene né Lacedemone, né alcuna di quelle republiche che sono state piú chiare e di maggiore grido appresso agli antichi: anzi appresso a noi si vede in atto tale forma di republica quale quegli che hanno fatto maggiore professione di sapienza civile non seppeno mai né immaginarsi né descrivere. Adunque a tanta e a sí gloriosa patria, stata moltissimi anni antimuro della fede, splendore della republica cristiana, mancheranno le persone de’ suoi figliuoli e de’ suoi cittadini? e ci sarà chi rifiuti di mettere in pericolo la propria vita e de’ figliuoli per la salute di quella? la quale contenendosi nella difesa di Padova, chi sarà quello che neghi di volere personalmente andare a difenderla? E quando bene fussimo certissimi essere bastanti le forze che vi sono, non appartiene egli all’onore nostro, non appartiene egli allo splendore del nome viniziano, che e’ si sappia per tutto il mondo che noi medesimi siamo corsi prontissimamente a difenderla e conservarla? Ha voluto il fato di questa città che in pochi dí sia caduto delle mani nostre tanto imperio: nella quale cosa non abbiamo da lamentarci tanto della malignità della fortuna (perché sono casi comuni a tutte le republiche a tutti i regni) quanto abbiamo cagione di dolerci che, dimenticatici della costanza nostra stata insino a quel dí invitta, che perduta la memoria di tanti generosi e gloriosi esempli de’ nostri maggiori, cedemmo con troppo subita disperazione al colpo potente della fortuna; né fu per noi rappresentata a’ figliuoli nostri quella virtú che era stata rappresentata a noi da’ padri nostri. Torna ora a noi l’occasione di recuperare quello ornamento, non perduto, se noi vorremo essere uomini, ma smarrito; perché andando incontro alla avversità della fortuna, offerendoci spontaneamente a’ pericoli, cancelleremo la infamia ricevuta; e vedendo non essere perduta in noi l’antica generosità e virtú, si ascriverà piú tosto quel disordine a una certa fatale tempesta (alla quale né il consiglio né la costanza degli uomini può resistere) che a colpa e vergogna nostra. Però, se fusse lecito che tutti popolarmente andassimo a Padova, che senza pregiudicio di quella difesa e delle altre urgentissime faccende publiche si potesse per qualche giorno abbandonare questa città, io primo, senza aspettare la vostra deliberazione, piglierei il cammino; non sapendo in che meglio potere spendere questi ultimi dí della mia vecchiezza che nel partecipare, colla presenza e con gli occhi, di vittoria tanto preclara, o quando pure (l’animo aborrisce di dirlo) morendo insieme con gli altri non essere superstite alla ruina della patria. Ma perché né Vinegia può essere abbandonata da’ consigli publici, ne’ quali, col consigliare provedere e ordinare, non manco si difende Padova che la difendino con l’armi quegli che sono quivi, e la turba inutile de’ vecchi sarebbe piú di carico che di presidio a quella città, né anche, per tutto quello che potesse occorrere, è a proposito spogliare Vinegia di tutta la gioventú, però consiglio e conforto che, avendo rispetto a tutte queste ragioni, si elegghino dugento gentiluomini de’ principali della nostra gioventú, de’ quali ciascuno, con quella quantità di amici e di clienti atti all’arme che tollereranno le sue facoltà, vadia a Padova, per stare quanto sarà necessario alla difesa di quella terra: due miei figliuoli, con grande compagnia, saranno i primi a eseguire quel che io, padre loro principe vostro, sono stato il primo a proporre; le persone de’ quali in sí grave pericolo offerisco alla patria volentieri. Cosí si renderà piú sicura la città di Padova, cosí i soldati mercenari che vi sono, veduta la nostra gioventú pronta alle guardie e a tutti i fatti militari, ne riceveranno inestimabile allegrezza e animosità; certi che, essendo congiunti con loro i figliuoli nostri, non abbia a mancare da noi provisione o sforzo alcuno: la gioventú e gli altri che non andranno, si accenderanno tanto piú con questo esempio a esporsi, sempre che sarà di bisogno, a tutte le fatiche e pericoli. Fate voi, senatori, le parole e i fatti de’ quali sono in esempio e negli occhi di tutta la città, fate, dico, a gara, ciascuno di voi che ha facoltà sufficienti, di fare descrivere in questo numero i vostri figliuoli acciò che sieno partecipi di tanta gloria; perché da questo nascerà non solo la difesa sicura e certa di Padova ma si acquisterà questa fama appresso a tutte le nazioni: che noi medesimi siamo quegli che col pericolo della propria vita difendiamo la libertà e la salute della piú degna patria e della piú nobile che sia in tutto il mondo. –




Il tema di storia per gli esami di maturità 2009

“Nel 2011 si celebreranno i 150 anni dell’unità d’Italia. La storia dello Stato nazionale italiano si caratterizza per la successione di tre tipi di regime: liberale monarchico, fascista e democratico repubblicano.
Il candidato si soffermi sulle fasi di passaggio dal regime liberale monarchico a quello fascista e dal regime fascista a quello democratico repubblicano. Evidenzi, inoltre, le caratteristiche fondamentali dei tre tipi di regime.”


È opportuno riflettere su questa traccia di tema di storia che l’occupante italiano propone agli studenti, diciamo che ad un osservatore, anche non attento, emerge un termine chiave: “regime”.
Quando si parla di Stato italiano e della sua evoluzione storica dalla sua costituzione fino ad oggigiorno il termine regime non può che essere visto nella sua eccezione negativa, nell’eccezione oppressiva di controllo e di indirizzo coatto del Popolo.
La successione dei tre regimi non presenta cesure, un filo rosso lega l’esperienza unitaria italiana, o per meglio dire l’espansione del Regno di Sardegna al resto della penisola.
L’Italia si è formata, così come la conosciamo oggi con una serie di guerre d’aggressione (le tre guerre d’“indipendenza”, le guerre coloniali, la prima e seconda guerra mondiale, e altre guerre minori di cui l’Italia è stata partecipe), lo stato italiano in queste guerre si è macchiato dei crimini più brutali (campi di concentramento e sterminio, uso dei gas, violenze indiscriminate sulle popolazioni civili, brutalità di ogni genere, ecc.), l’Italia è divenuta così come la conosciamo ora in spregio anche al minimo rispetto delle popolazioni che sosteneva di rappresentare (i regimi che si sono susseguiti hanno usato le popolazioni come merce di scambio per ottenere benefici economici e materiali, sia nei movimenti di emigrazione che hanno caratterizzato il 1800 e 1900 che nei movimenti di immigrazione che caratterizzano il periodo attuale).
La storia unitaria come la raccontano gli storici di regime è un falso; la storia unitaria italiana costruita con l’accorrere di migliaia di volontari da ogni parte della penisola è una pia illusione di qualche accademico; i militari che muoiono pronunciando “viva l’Italia” è una menzogna degli uffici storici dell’esercito/dell’aeronautica/della marina. I fatti e i documenti dimostrano che nelle guerre risorgimentali le maggior parti delle popolazioni della penisola combatterono contro l’unità e contro i Savoia per difendersi dai soprusi e delle violenze:
–         Cosa ci dicono gli intellettuali italiani del “sacco di Genova” in cui i bersaglieri si macchiarono di orrendi crimini che nulla hanno ad invidiare alle SS?
–         Lo stesso Verga ci insegna cosa fece l’occupante italiano a Bronte in Sicilia.
–         Ci spieghino gli storici italiani come venivano trattati i patrioti duosiciliani nel lager di Fenestrelle;
–         Ci illuminino gli intellettuali ascari del regime sul come mai nel 1866 durante la cosiddetta terza guerra d’indipendenza in Veneto non ci furono diserzioni, e anzi perché i marinai istro-veneti al grido di “Viva San Marco” affondarono la nave ammiraglia italiana?
–         Perché durante la prima guerra mondiale i carabinieri sparavo alla schiena dei fanti e degli alpini per evitare che questi si ritirassero? Non c’era forse uno spirito patriottico che spingeva tutto l’esercito?
–         Come mai non furono mai consegnati alle autorità internazionali i criminali italiani della seconda guerra mondiale? Perchè non c’è stata una Norimberga italiana? Nonostante si sia andata a propugnare la nomea di “Italiani brava gente”.
–         Perché il regime italiano ha permesso l’occupazione di terre cosiddette italiane da parte della canaglia nazista?
–         Perché il regime italiano ha permesso che la propria popolazione di religione ebraica fosse perseguitata, e anzi si è reso complice di questo crimine?
Questi sono dei brevi cenni per dare l’idea che le caratteristiche dei tre regimi sono similari, anzi sono l’evoluzione uno dell’altro, o per meglio dire sono la degenerazione l’uno dell’altro. Ora la situazione è più subdola e sotterranea, ma le ripercussioni dei crimini commessi dal regime italiano le subiamo tuttora: ricordiamoci che, ad esempio, il plebiscito che portò il Veneto ad essere occupato dall’Italia fu fatto in violazione del diritto internazionale, e il diritto internazionale non cade in prescrizione. Quindi paradossalmente il Veneto, come anche le altre terre della penisola, si trovano in uno stato di illegale occupazione, nel XXI secolo i popoli della penisola italiana si trovano ad essere una delle ultime colonie del globo. L’Italia non è solo un’espressione geografica come sosteneva il Principe Metternich, ma è un anacronismo della storia, un agglomerato territoriale che non ha ragione di esistere.
Quindi, sempre se l’Italia arriverà al 2011, si troverà ad essere uno Stato che va a festeggiare non la propria unità, ma l’espansione del Regno di Sardegna, l’Italia e le sue istituzioni andranno a festeggiare un secolo e mezzo di crimini e di violazioni del diritto internazionale….. che bella soddisfazione.
Probabilmente con questa traccia di tema lo Stato occupante cerca di fare l’ennesimo lavaggio di cervello al proprio popolo, ma la forza travolgente della storia farà emergere la verità e sotterrerà nella cloaca ogni menzogna.
Perché il regime italiano, durante tutta la sua esistenza, ha sempre temuto il popolo? Perché il regime italiano rifiuta di mettersi ad un tavolo di trattative con le forze patriottiche della penisola? Perché il regime italiano rifiuta di applicare il diritto di autodeterminazione dei popoli? Queste domande rimangono sempre senza risposta, e questo silenzio sarà sempre più assordante: ormai il regime è nudo ed è il solo ad non accorgersi delle proprie nudità. Non sarà una traccia di tema di storia ad intossicare le menti dei Popoli della penisola.
Longarone, 26 giugno ’09

Per il Veneto Serenissimo Governo
Il Responsabile del Dipartimento Scolastico
Mario Bonamigo




La "busa dei sbori" in località punta

Lo stato e la stessa scuola italiana sopprime o semplicemente censura sistematicamente con lo scopo di rafforzare la cancellazione dell’identità veneta nelle nuove generazioni e di imprimere culture che non appartengono al nostro passato in funzione centralista ed imperialista, tutti quei riferimenti riguardanti la storia del nostro territorio, in particolare l’appartenenza delle citta’ di terraferma ad istituzioni marciane che da sempre seppero difendere le genti venete ed il suo ecosistema sanitario. Grazie a persone che scrivono senza preconcetti ideologici di sorta si ha la possibilità di leggere dei genuini passaggi di storia legata al territorio che ci circonda riscoprendo dei fatti che anche se in maniera circoscritta a piccoli luoghi o paesi,porta alla luce la verità di un rapporto tra la terraferma veneta e Venezia non ancora esaurito dopo oltre 200 anni di falsità ed agressioni alla nostra cultura storica: è il caso di questo signore che orgogliosamente scrive nelle pagine di una rivista  pubblicitaria per la sagra del suo piccolo paese,Palù in provincia di Verona.

 

•La “ busa dei sbori” in località punta•

Quando da ragazzi andavamo a pescare in località Punta, preferivamo appostarci in uno specchio d’acqua circolare, abbastanza ampio , collegato da un canale al fossato che poi , 50 metri dopo confluiva nel Bussè. Si trovava  (e si trova tuttora) a sinistra sulla strada poco prima di arrivare al complesso dei fabbricati e della corte .Era chiamata la “busa dei sbori “,nome al quale noi ragazzi non riuscivamo a dare alcuna spiegazione etimologica se non quella di accomunarlo ad una parolaccia.Ma vediamo quel era nel passato la sua funzione.
 Nel 1500 il pericolo di diffusione di pestilenze ed epidemie era molto concreto. Per questo motivo la REPUBBLICA DI VENEZIA prese delle iniziative di prevenzione onde limitare tali tragici fenomeni .
Particolari norme sanitarie vennero emanate onde evitare che merci infette potessero determinare il diffondersi di epidemie.Queste norme si fecero più severe dopo la tremenda peste che colpì Venezia nel 1575.Nel 1586 , per rendere più vigile il controllo delle merci che viaggiavano sui corsi d’acqua, venne istituito l’Ufficio dei Provveditori dell’Adige a cui si dimanava il compito di sorvegliare il corso per mantenere il fiume navigabile , di controllare gli argini di vigiliare sulle merci in transito ,ecc. Merci e persone sospette di contaminazione erano sottoposte a particolari operazioni di disinfezione, espressa col termine “sborro” o “ espurgo” e sborro fu chiamato anche il luogo ove erano compiute tali operazioni .
Vennero, in un primo tempo , utilizzati ambienti situati alla periferia cittadina e nelle zone adiacenti ai corsi d’acqua.
I “bastazzi”  (facchini) erano coloro che compivano le operazioni di disinfezione delle merci .Certi prodotti come le pelli ,le sete venivano esposte al sole e all’aria ,gli animali con piume venivano puliti con l’aceto ,l’aria era depurata bruciando erbe aromatiche. A Verona il luogo di decontaminazione era lungo l’Adige presso la “dogana nuova nel quartiere Filippini

Anche nel nostro territorio vi era un luogo scelto per il controllo ed eventuale “quarantena “ delle merci in uscita dirette al mercato di VENEZIA ;tale luogo si trovava in località Punta , luogo di confluenza dei maggiori fossati con il Bussè che ,ricordiamocelo , era la via per eccellenza di comunicazione .Dal Bussè, che ancora in quegli anni confluiva tra Tombazosana e Roverchiara in Adige , si poteva scendere fino all’Adriatico .Sappiamo che il riso ,la ricchezza per eccellenza  della nostra  terra ,spuntava prezzi decisamente più remunerativi a Venezia , la quale ,come abbiamo visto, si premuniva di controllare la salubrità dei prodotti che importava .Le merci venivano isolate per un determinato periodo di tempo in questo luogo “contumaciale “ e dopo essere state sottoposte a disinfezione , corredate da certificati di idoneità (fedi di sanità) potevano partire su grossi barconi alla volta di Venezia. Grazie a queste misure di difesa e a tutta una serie di severe norme sanitarie la SERENISSIMA seppe far fronte ai rischi di contagi; dopo l’ultima epidemia del 1630 la peste scomparve praticamente da VENEZIA , con quasi un secolo di anticipo rispetto ad altre città europee.



Michael Gaismair – Eroe idealista quanto mai attuale

Scrivere di Michael Gaismair anticipatore di tutti gli idealisti rivoluzionari e di coloro che si battono contro le ingiustizie perpetrate a danno dei più deboli e di chi lavora è quanto mai attuale in questa fase storica, dove alla gravissima crisi economica, come se non bastasse, si sommano ingiustizie e sfruttamenti di ogni sorta da parte della casta politico burocratica e finanziaria al potere.
Mi auguro che questo scritto faccia riflettere ogni veneto onesto.

Michael Gaismair nasce nel 1490 nel Tirolo meridionale, la sua famiglia appartiene alla  piccola proprietà imprenditoriale locale e si occupa di terreni agricoli ed attività minerarie. Il giovane Michael Gaismair riceve una buona educazione scolastica e attorno ai vent’anni viene assunto come impiegato minerario vicino ad Innsbruck, in seguito come luogotenente con funzioni civile militare del sud Tirolo e più tardi come segretario del principe vescovo Sebastian Sprenz.
Dunque una strada spianata all’interno del sistema di potere dell’epoca, tanto per capirci: soldi e cibo.
Lottare per la giustizia e per il bene comune è qualcosa di innato e Michael Gaismair lo dimostra pienamente.
Vede la rovina della sua azienda ad opera di speculatori finanziari, sente un oceano di proteste che si alzano da parte delle classi più umili: servi, contadini, operai, artigiani e piccoli proprietari che non reggono più ai soprusi feudali dei vari principi e nobili tedeschi.
La rivolta è ormai partita ed è immensa, si estende a macchia d’olio dalla Turingia alla Svevia, dal Tirolo alla Baviera al Salisburghese alla Sassonia fino ai cantoni svizzeri lambendo i confini della Veneta Serenissima Repubblica.
Dopo importanti successi militari  Michael Gaismair diventa protagonista come  capo della rivolta in Tirolo dando prova di grandi qualità militari, come riconoscerà Engels.
Le autorità imperiali scatenano una violentissima  repressione grazie all’appoggio della nascente borghesia con l’ambizione di ritagliarsi fette di potere anche lo stesso Martin Lutero incita il potere  a sterminare questa gentaglia, trucidando senza pietà i rivoltosi.
Lo stesso Michael Gaismair viene arrestato ma, riesce a fuggire riparandosi nei territori dei Grigioni in Svizzera dove sicuramente rimane influenzato dal teologo riformatore  Ulderico Zwingli. Nel frattempo elabora articolate teorie sociali che si condensano in oltre 90 articoli della Landsordnung che potremmo dire brevemente  una sorta di socialismo contadino egualitario con profonde venature evangeliche con la fine dei privilegi feudali  del clero e della nobiltà, l’istruzione del popolo ecc..
Molte di queste sue teorie saranno riprese  secoli dopo.
Tutto questo non gli impedisce di continuare le sue battaglie nel Tirolo e Salisburghese contro gli Asburgo, ormai braccato da forze sempre più grandi ed agguerrite con un’immensa taglia sul suo capo posta dal principe Ferdinando.
Michael Gaismair ed i suoi contadini soldati, molti di questi con donne e bambini al seguito, comincia a ritirarsi verso sud attraversando le montagne degli alti Tauri, arriva al confine nord della Veneta Serenissima Repubblica chiedendo di poter entrare ed essere arruolato nell’armata Veneta con i suoi miliziani. Tutto questo genera non poca apprensione tra le autorità militari di confine, in quanto hanno il fondato timore che dando asilo al capitano dei villani ci si possa tirare addosso le ire di tutti i nobili tedeschi in un momento non certo facile per la Veneta Serenissima Repubblica in forte attrito con gli Asburgo.
Non va dimenticato che la guerra di Cambrai era finita da pochi anni e aveva lasciato sulla  terra ferma veneta una pesante scia di morte e distruzione.
Il consiglio dei dieci, nonostante i pressanti inviti a lasciare i rivoltosi  al loro destino decisero di accoglierli sentenziando "NON POSSIAMO NEGARE IL TRANSITO AD ALCUNO CHE FUGGE LA MORTE".
Come scritto precedentemente, le rivolte contadine  prendono un’area immensa dell’Europa centrale  ma, si fermano ai confini della Veneta Serenissima Repubblica.
A differenza di tutta l’Europa, la nostra Veneta Serenissima Repubblica difendeva e proteggeva le classi più umili contro eventuali soprusi da parte di autorità o signorotti locali con gli avogadori de comun, magistrati incaricati di difendere il popolo.
A titolo di esempio, voglio ricordare che già nel 1420 la Veneta Serenissima Repubblica aveva contribuito alla costituzione dei primi sindacati dei contadini nella storia per proteggere i contadini friulani dalle grinfie dei feudatari locali, la cui autorità come in altri luoghi della terra ferma derivava dai soprusi del mondo imperiale e feudale germanico.
Inoltre vorrei ricordare che durante la guerra di Cambrai, nel momento più drammatico della nostra repubblica, contadini, operai ed artigiani fecero quadrato attorno all’autorità marciana sacrificandosi in massa. Si ebbe la stessa reazione  quasi quattro secoli dopo con insorgenze anti-napoleoniche diffondendosi  in tutto il territorio della Veneta Serenissima Repubblica ben oltre la sua caduta e Verona ne divenne simbolo.
Il popolo compatto non esita a rimanere fedele  all’autorità in maniera spontanea, anche quando quest’ultima si trova in grave difficoltà e non si schiera con i nuovi padroni, come è sempre avvenuto nella storia.
Questa è la dimostrazione più grande del giusto agire del governo della nostra repubblica.
Michael Gaismair viene ricevuto dalle massime autorità della Veneta Serenissima Repubblica tra cui il Doge serenissimo che gli dimostra simpatia (non dimentichiamo che per il potere dell’epoca Michael Gaismair era un ricercato criminale e bandito). Non esita a sottoporre al veneto governo audaci piani militari per la riconquista del Tirolo, partecipa come capitanio de grandissima fama all’assedio di Cremona assieme alle forze venete non rinunciando mai al pensiero di attaccare gli Asburgo. La Veneta Serenissima Repubblica lo ringrazia per i suoi alti servigi resi e gli assegna un vitalizio e va con la sua famiglia a vivere ai piedi dei colli Euganei nel territorio di Padova dove trascorre qualche anno di tranquillità pur mantenendo rapporti diplomatici con i cantoni svizzero tedeschi per conto della Veneta Serenissima Repubblica.
Il 15 aprile 1532 elementi criminali pagati dagli Asburgo arrivano sul posto accompagnati da uno spregevole indigeno di professione mediatore di cavalli, con la scusa di fargli vedere del materiale, Michael Gaismair apre la porta di casa.
In quel istante i sicari proditoriamente  gli balzano addosso colpendolo con decine di coltellate procurandogli la morte.
Verrà tumulato nella chiesa di Santa Sofia a Padova dove anche esiste una lapide all’esterno.
Era giusto ricordare questo grande condottiero idealista perché la lotta per la giustizia non ha tempo. Ma è altrettanto giusto ricordare lo straordinario patrimonio di valori di giustizia e libertà che la nostra Veneta Serenissima Repubblica ci ha lasciato, fatti sparire dalla memoria collettiva del nostro popolo ad opera dello stato occupante e dai lacché veneti al suo seguito per darci in cambio degrado, divisioni, sfruttamento, ingiustizie e un futuro carico di tempesta.

W San Marco

W la Veneta Serenissima Repubblica
W il Veneto Serenissimo Governo

Longarone, 6 maggio 2009

Luigi Massimo F
accia

Presidente della Veneta Serenissima Repubblica




19 marzo 1474 – i Brevetti nella Serenissima

Archivio di Stato di Venezia, Senato terra, registro 7, carta 32)  : «L’andarà parte che per auctorità de questo Conseio, chadaun che farà in questa Cità algun nuovo et ingegnoso artificio, non facto per avanti nel dominio nostro, reducto chel sarà a perfection, siche el se possi usar, et exercitar, sia tegnudo darlo in nota al officio di nostri provveditori de Comun. Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X.»

Nella storia possiamo ben dire che i governi furono retti da pochi da molti o da uno solo. Il più usato è stato quello regio poiché la natura abbonda di cose meno perfette. I pochi non si tollerano quasi mai aprendo la strada a dominazione straniera. Le repubbliche sono opere di maggior lavoro e sono ancor più facili da scomporsi, le discordie e le fazioni pare che le siano naturali; rare sono quelle che hanno avuto lunga e quieta vita. “Quella repubblica meriterà il nome di perfetta, che averà forze di resistere all’estreme invasioni e buoni ordini per tenere tranquillo il suo stato interno. Questa lode è dovuta per giustizia a quella di Venezia, poiché la sua libertà ottenuta con tanto vigore contro le maggiori potenze, e la sua quiete domestica, superano la memoria d’ogni altra”. Il governo della Serenissima brilla nella storia per la gloria delle sue leggi, per la prudenza dei suoi istituti, l’ordine dei suoi consigli l’armonia dei suoi magistrati e soprattutto per la libertà che ogni suo cittadino godeva ecc. elementi questi che dovrebbero far riflettere a fondo i veneti di oggigiorno portandoli a desiderare ora più che mai il ritorno delle loro legittime istituzioni calpestate ed a volte derise da squallidi personaggi rappresentanti lo stato occupante italiano.Portando un esempio a queste virtù, vediamo che la serenissima era all’avanguardia anche nel favorire la conoscenza dello sviluppo tecnologico portatore di crescita economica e sociale essendo in assoluto nel mondo occidentale il primo stato a legiferare a favore della tutela degli inventori che volessero registrare il brevetto delle loro scoperte. L’iter amministrativo per la concessione, passava una rigorosa struttura burocratica atta a selezionare e utilizzare tutti i prodotti dell’ingegno come ad esempio le richieste in campo sanitario vagliate oltre che dal senato,anche dal” potente magistrato alla sanità”,( altra istituzione spunto e, vero e proprio punto di partenza per tutte le organizzazioni mondiali alla sanità pubblica, nato ben un secolo prima che negli altri stati europei 7 gennaio 1486,-1485m,v) e dalla giustizia vecchia,istituzioni queste che potevano beneficiare dei consigli dei migliori luminari della scienza e della collaborazione di una delle più antiche e prestigiose università  esistenti, quella di Padova. Questo intenso cammino procedurale garantiva un accurato controllo evitando specialmente le accese dispute e soprattutto i malefici conflitti di interesse fra le molteplici categorie esistenti. Anche se la prima legge è datata 1474, si può ben dire che la concessione delle patenti riguarda un ben più ampio processo storiografico in linea con le millenarie consuetudini venete che in passato attraverso svariati organi governativi o pubblici arrivavano a concezioni di privative o parti ossia leggi che  altro non sono che la continuazione di grazie,licenze o privilegi,concessi a “speciales personae” ossia a singoli individui che nel tempo ed in alcuni casi tipo quello industriale si estenderanno anche a gruppi di persone, oppure a società. In questa maniera la Serenissima riusciva a far giungere nel veneto dominio gli autori stranieri di interessanti scoperte industriali per farle costruire e immettere nel mercato locale piuttosto che tentare di copiarle, favorendo così lo sviluppo tecnologico per poter poi servirsene per la crescita economica della repubblica. Bisogna osservare che il principio di fondo in base al quale la serenissima promuoveva e incoraggiava le scoperte in quel periodo era certamente condiviso anche da signorie, stati totalitari e regnanti vari, ma mentre in questi contesti politici gli inventori erano legati all’estro ed al capriccio di sovrani che spesso e volentieri erano spinti solo dal desiderio di accrescere il loro potere personale,nella repubblica veneta gli organi preposti alla concessione partono sempre da considerazioni di utilità pubblica favorendo così la selezione e l’utilizzo di tutti i prodotti dell’ingegno per un accrescere ,nel tempo,di nuove energie produttive e finanziarie della serenissima. Il numero degli inventori è enorme e lo dimostra l’eccezionale numero  di 2004 brevetti concessi dal senato terra nei più svariati campi dell’attività economica tra il 1474 e il 1797. Le domande o suppliche,provengono da cittadini di Venezia, da sudditi del Dominio, da stranieri della penisola e del continente europeo; mercanti, artigiani,appaltatori, società e privati cittadini di ogni condizione e ceto. Per una effettiva verità storica e per illuminare i tantissimi dottori del dogma pro napoleonico o meglio pro risorgimentale, che ancor oggi fanno del loro mestiere il denigrare ed irridere la nostra gloriosa repubblica portando sugli altari le tesi di una irreversibile decadenza spirituale e soprattutto economica del 700 veneto, mi permetto di suggerire loro  di esaminare per un attimo questo grafico e così facendo gli sia da stimolo per  un piccolo esame di autocritica:
anno                          n° brevetti  
1474-1500                        43
1501-1550                        126
1551-1600                        471          
1601-1650                        283
1651-1700                        317
1701-1750                        234
1751-1797                        530

E come scriveva lo storico secentista Gian Antonio Muazzo: “valerà quest’esame per svegliar ne’ cittadini il desiderio e la sollecitudine della sua preservazione. Se alla repubblica è dovuta la gloria d’aver fondate ottime leggi, sarà gran lode della prosperità il conservarle”




Proposta sulla Lingua e la Grafia Veneta

Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, a coronamento di un ampio lavoro di ricerca e di proficuo dibattito ha deciso di sottoporre al Popolo Veneto il documento che ne è scaturito; siamo consapevoli che esso non esaurisce il problema, ma pensiamo sia una buona partenza.

Pertanto chiediamo a tutti di contattare il Veneto Serenissimo Governo ai contatti mail (pepiva@libero.it o cancellierevsg@alice.it)  o all’indirizzo postale (casella postale 64 -36022- Cassola – VI) per dare un contributo a questo lavoro, che comunque sarà utile e prezioso: ciò ai fini non di codificare una lingua, che è comunque sempre in evoluzione, ma per rendere unitaria la scrittura.

09 dicembre 2008


Per il Veneto Serenissimo Governo
Dipartimento Cultura Patriottica ed Identità Nazionale
Il Vicepresidente Plenipotenziario
Demetrio Serraglia



 

1. LINGUA o DIALETTO?

Molti linguisti sostengono che la differenza tra lingua e dialetto sia sostanzialmente una pura questione politica. Si tratta quindi di un discrimine dato dal fatto che un idioma sarebbe lingua quando è riconosciuto a livello legislativo da uno Stato, a prescindere anche dal fatto stesso che gli abitanti, i cittadini di tale Stato conoscano tale lingua (pensiamo all’“Italiano” come lingua ufficiale della Repubblica italiana, che dopo la Seconda guerra mondiale era ancora sconosciuta ai due terzi della popolazione; poi è arrivata la televisione).
Per riassumere tutto questo, si usa spesso la seguente citazione, che viene alternativamente riferita a diversi linguisti di fama internazionale, a riprova della sua diffusione, conoscenza e sostanziale accettazione da parte dei linguisti dotati di onestà intellettuale: “Una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina”.

2. IMPORTANZA POLITICA della LINGUA

La lingua è uno dei fondamentali elementi -insieme a storia, costumi, tradizioni…- per cui si può distinguere un popolo dall’altro. La lingua Veneta con la sua tradizione letteraria -anche se mai “ufficializzata” da una grafia o da una codificazione grammaticale- si inserisce esattamente nel panorama linguistico neolatino-mediterraneo, tanto che pare -e forse è- assurdo metterne in discussione la collocazione nel ceppo linguistico comune a italiano, spagnolo, catalano, portoghese, occitano, napoletano, siciliano e qualche altro. La tradizione letteraria è appunto molto vasta, e le testimonianze che ne abbiamo sono molteplici, nonostante le ricerche per valorizzare tale patrimonio letterario siano quasi a zero in ambito italiano, per ovvi motivi di relegare il valore della lingua al salvagente del “dialetto”, che permette allo Stato italiano di aggirare l’articolo 6 della sua stessa Costituzione.
A parte il valore diciamo “artistico” della lingua, c’è un valore identitario (di cui si parla nel paragrafo successivo) ed infine un valore pratico. Per fare un esempio vicinissimo a noi: quanto sarebbe più facile risvegliare l’identità veneta se ci fosse una lingua codificata, comune, conosciuta, scritta e letta univocamente da tutti? Forse semplicemente non servirebbe risvegliare l’identità, perché non si sarebbe mai assopita fino al punto di rischiare di non uscire più dal “coma” culturale in cui si trova il Popolo Veneto.
Bisogna chiudere la partita della codificazione grafica al più presto, poiché ciò significa dare al futuro un’“arma” che noi oggi non possiamo sfruttare appieno, ma di cui ci rendiamo conto della portata.

3. IMPORTANZA IDENTITARIA della LINGUA

Una lingua non è solo uno strumento di comunicazione. Una lingua è anche un’identità, e forse quella che insieme al background fisico-territoriale di più pregiudica ed influenza la visione del Mondo che un popolo sviluppa nella Storia. La lingua non è semplice e diretta traduzione in simboli di un pensiero, altrimenti non si spiegherebbe la profonda variabilità della lingua stessa, nonostante la lingua sia fatta di simboli sonori (nella declinazione orale) e simboli grafici (sul piano dello scritto) tutti prodotti per via orale, ascoltati dall’udito, scritti da mani, e letti da occhi umani.
Un esempio di come una lingua possa segnare le sorti di un popolo e forgiarne la mentalità, è data dal raffronto tra greco e latino “classici”. Il greco, infatti, era dotato dell’articolo determinativo, mentre il latino ne era sprovvisto. Ciò ha “comportato” che la filosofia -con la sua tendenza categorizzante- sia nata ad Atene, e non a Roma. Un possibile motivo? In Greco si poteva differenziare nettamente l’“esempio” di cane (un cane) dal “concetto” di cane (il cane). Nel latino si dovette far ricorso agli aggettivi dimostrativi per supplire a questo vuoto “filosofico” della lingua (gli articoli determinativi in italiano e in veneto “derivano” da questo ricorso: ille canis = quel cane > il cane / el can; illa pila = quella palla > la palla / ła bała).
Inoltre, ogni lingua -o meglio: ogni popolo, nella sua lingua- ha le proprie espressioni idiomatiche, segno di una identità autonoma innanzitutto, ma anche sintomo di una precisa visione del Mondo e della vita.
Un esempio storico e verificabile che la lingua non è un elemento “accessorio” all’indipendentismo è l’importante identificazione dei Veneti della Diaspora con la loro lingua madre, che ancor oggi parlano -dopo oltre un secolo- ed insegnano ai loro discendenti: questo dimostra che la lingua è uno strumento identitario di un Popolo, non un “elemento” del territorio, o per scolastiche rassegne di cultura “locale”.

4. LINGUA o NON LINGUA? DIALETTI o VARIANTI?

La “lingua veneta” in sé non esiste, nel senso che non è mai stata codificata né nella grammatica, né nella grafia. Tuttavia, -per fortuna- anche ciò che non è codificato esiste, e molte sono le prove che un “parlar veneto” esiste: il semplice fatto che tra veneti ci si riesca a parlare (anche se sono presenti evidenti diversità di pronuncia -e grafia- e di grammatica); il fatto che un veneto moderno (soprattutto un bellunese-feltrino) possa comprendere -senza grosso sforzo- il “Ritmo Bellunese” (di un secolo precedente alla Divina Commedia di Dante); il fatto che un “veneto patrio” ed un “veneto della diaspora” si comprendano senza alcuna difficoltà, tranne che per qualche “dinosauro” lessicale. Questo sono solo alcuni dei possibili esempi.
L’affermazione che la “lingua veneta” non esiste è facilmente travisabile. Tuttavia, il motivo per cui ciò è da precisare è che se definissimo “cos’è la lingua veneta” dovremmo poi definire senza dubbio “le varianti”, perché ci sono innegabili e macroscopiche differenze nelle declinazioni territoriali della lingua (come in tutte le lingue del resto!). Tuttavia, dire che sono macroscopiche, non significa che siano insormontabili. Semplicemente ciò significa che ci sono alcune aree in cui accadono deter
minati fenomeni linguistici (es. aumento della frequenza di caduta della vocale finale nel bellunese; es. progressiva perdita di purezza consonantica della L -verso la vocale E- procedendo dai monti, per le pianure, verso la costa; es. uso della Z-sorda (suono dell’it. spaZio) nelle zone costiere, nel rodigino e nel trentino; es. uso dell’interdentale sorda TH in passato molto diffuso, ora conservato solo nel bellunese-feltrino-sinistraPiave; e simili).
Tramite l’accostamento di tali fenomeni linguistici, in passato si sono individuate delle c.d. “varianti” della lingua, sempre nella necessità di adeguare la figura ideale della “lingua veneta” alla realtà fattuale della grande variabilità linguistica, un po’ come fosse il famoso “regolo di Lesbo”.
Tuttavia gli strenui tentativi d’alcuni di ascrivere il parlare di un comune di “frontiera linguistica” a questa o a quella “variante”, dimostrano la sclerosi di questo schema. Altri, con enorme miopia politica ma soprattutto culturale, si sono permessi di “scegliere” una delle c.d. varianti, ed ergerla a “lingua di tutti”. Costoro non si sono accorti del cortocircuito logico congenito alla loro tesi, poiché partendo dall’idea di “una ed indivisibile lingua veneta” -parafrasando l’“adorata” italica costituzione-, scendendo ad individuare delle “varianti” e risalendo poi ad imporre -per comodità, dicono- una variante come “lingua di tutti”, si pongono in realtà di fronte a due “lingue venete”: una che “dovrebbe essere” tale -condizionale presente-, e una che lo “dovrà essere” -indicativo futuro-. Fin qui la miopia culturale. Ma da qui anche miopia politica, perché ciò significa relegare a “dialetti” tutte le altre varianti. Ma poi: detto -e fatto- questo, con che faccia si potrebbe continuare a biasimare ed attaccare la scelta dei governi del Regno d’Italia che tanta opera vollero porre nell’imporre il toscano come “lingua di tutti”, che nel 1861 era conosciuta solo dal 2,4% della gente -e tra l’altro solo come lingua delle grandi occasioni, non certo come lingua di vita e comunicazione-?
Gli accenni alle “varianti” possono essere utili in senso molto lato, soprattutto nei casi in cui si tratta di richiamare alla mente del lettore un certo modo di pronunciare, per es. quando si confronti la lettura della Ł -elle semivocalica/semiconsonantica-  “alla costiera” (= quasi una E pura) o “alla bellunese” (= L pura).
Ecco quindi perché è inutile -se non anzi dannoso- calare dall’alto delle maglie rigide per stringere la realtà in schemi che verranno rotti presto, in quanto le lingue sono in costante e dinamica sedimentazione e smottamento, poiché sono vive, come quelli che le usano; e non dimentichiamo che la lingua è uno strumento a servizio di un Popolo, che quel Popolo per secoli ha sia migliorato che custodito, usandola.

5.GRAFIA ad un BIVIO: AUTARCHIA o COORDINAZIONE INTERNAZIONALE?
La prima cosa da precisare è che l’ortografia (cioè il modo corretto, “ortodosso” -appunto- di scrivere) è una disciplina storica, cioè è prettamente convenzionale, in una commistione di necessità e scelte che stanno tra la tradizione da conservare ed il futuro da costruire.
A scanso di equivoci, precisiamo che autarchia (dal gr. autos = esso stesso; archè = principio; autos+archè = esso stesso fa principio) significa “far principio a sé stessi”, cioè essere totalmente autonomi ed indipendenti. In alcune proposte grafiche per il veneto, questa “indipendenza” della grafia rispetto ai sistemi grafici “in vigore” per altre lingue, viene definita come una virtù essenziale, anzi costitutiva della proposta grafica. Ciò probabilmente è dettato dall’ennesima declinazione del “complesso del sottomesso” (fenomeno cui è dedicato in questa introduzione un paragrafo esplicativo; par. 8), oppure più semplicemente da una traslazione del “desiderio di indipendenza politica” in una proposta di “indipendenza grafico-linguistica”.
Tuttavia, tanto l’indipendenza politica significa sacrosanto diritto ad autodeterminarsi, quanto una cieca indipendenza della grafia di una lingua porta a isolazionismo, devitalizzazione, rattrappimento, morte.
Tra l’altro, queste visioni isolazioniste sulla lingua sono state spesso figlie naturali di un certo nazionalismo (a partire dal Cinquecento, secolo in cui si sono affermati i c.d. “Stati nazionali”), e hanno portato lingue dello stesso ceppo e con caratteristiche simili a differenziare in maniera assurda le grafie proposte per lo stesso fonema. E’ il caso dopo cinquecento anni di proseguire sulla stessa falsariga?
Prendiamo ad esempio il suono che in italiano si è scelto di scrivere come GN:

                   italiano baGNo

                   francese           champaGNe (nota regione)

                   spagnolo          niÑa (bambina)

                   galiziano           leÑa (legna)

                   portoghese       piraNHa (noto pesce)

                   occitano           baNH (bagno)

                   catalano           CataluNYa (Catalogna)

                   [inglese oNIon (cipolla)]

                   [croato             koNJ (cavallo)]

> siamo quindi di fronte a 6 diversi grafemi (gn, ñ, nh, ny, ni, nj) per lo stesso identico fonema.
Una grafia indipendente -o sedicente tale- del veneto dovrà quindi inserirsi in questo arcipelago di isolazionisti -che già è una babele- con un’altra, nuova, inedita escrescenza grafica del medesimo fonema?
Forse è il caso di fare “di necessità virtù”, ossia -visto che il veneto è forse l’ultima lingua storica d’Europa a non avere ancora una codificazione certa (buone o cattive che siano le altre)- approfittare dell’occasione che la Storia ci ha dato di codificare una lingua nel terzo millennio, proponendo una grafia all’avanguardia che -seguendo principi di semplificazione, “fonetizzazione” (vedi paragrafo successivo) e coordinamento interlinguistico- permetta di fare il primo passo verso una grafia condivisa da più lingue -probabilmente dello stesso ceppo- che vogliano aderirvi (vedi paragrafo 10).
Un fondamentale passo in questo senso è stato compiuto nel
settembre 1888, quando l’Associazione Fonetica Internazionale ha messo a punto una Dichiarazione d’intenti -per il progetto di un alfabeto fonetico internazionale (IPA: International Phonetic Alphabet)- che riproduciamo di seguito:
1.      ogni segno dovrebbe avere il suo proprio suono distintivo;
2.      lo stesso segno dovrebbe essere usato per lo stesso suono in tutte le lingue;
3.      poiché molte classiche lettere romane dovrebbero essere usate il più possibile, l’uso di nuove lettere dovrebbe essere minimo;
4.      l’uso internazionale dovrebbe decidere il suono corrispondente ad ogni segno;
5.      l’apparenza delle nuove lettere dovrebbe suggerire il suono che rappresentano;
6.      i diacritici [segni aggiunti a lettere per variarne il suono. NdR] dovrebbero essere evitati quando possibile, poiché sono complicati da scrivere e  difficili da vedere.
Non è un caso che la prima commissione -di fondazione- del progetto fosse composta da linguisti inglesi e francesi, a comprovare quanto l’istanza di fonetizzazione dell’ortografia sia molto sentita presso gli studiosi di queste due lingue, di cui è nota la lontananza tra suoni pronunciati e grafemi scritti (non per nulla gli anglofoni sono costretti a spendere prezioso tempo nelle scuole per far imparare ai bambini lo spelling delle parole, con tanto di concorsi a premi per i più bravi).
Fortunatamente, le lingue neolatine mediterranee sono caratterizzate da una forte corrispondenza tra grafemi e fonemi: i linguisti le definiscono lingue con “ortografie fonemiche”.
Si tratta indicativamente delle seguenti lingue (grossomodo tutte quelle dell’area italica, dell’area iberica e della bassa Francia, cioè Provenza, Linguadoca, Aquitania,…) -circa da ovest verso est- : galiziano; asturiano; spagnolo; alto-aragonese; catalano; occitano; guascone; gallo-italico (lombardo, piemontese, ligure, emiliano, romagnolo); ladino; veneto; friulano; italiano centrale (toscano, umbro, alto laziale); corso; sassarese; mediano di sud-est (basso laziale, basso marchigiano); basso italiano (napoletano, molisano, lucano, pugliese); estremo italiano (siciliano, calabrese, basso pugliese); sardo.
La lingua veneta ha quindi l’imperdibile possibilità di essere pioniera di un processo di coordinamento delle grafie di una ventina di lingue della stessa famiglia, che dai linguisti sono considerate essere in un intreccio linguistico -definito “continuum dialettale”- che si sviluppa su un territorio che va dalla Lusitania alla Provenza, dall’Aquitania al Friuli, dal Piemonte alla Sicilia.
Inoltre, poiché questa grafia ha per vocazione e caratteristica la univoca traslazione dei suoni in scritti (e viceversa) essa potrebbe essere proficuamente utilizzata sul piano internazionale per “tradurre” univocamente in alfabeto latino parole di lingue che utilizzano altri alfabeti (es. alfabeto greco moderno; alfabeto cirillico) o altri sistemi di scrittura (es. ideogrammi cinesi; ideogrammi giapponesi), visto che attualmente si deve per forza scegliere la grafia di una certa lingua su cui basarsi.

6. GRAFIA FONEMICA: UN SUONO, UN SEGNO

I fenomeni linguistici variano e s’intrecciano sul territorio, e pertanto è necessario -in prima battuta- individuare dei grafemi che “traslino” nello scritto i vari suoni pronunciati. In una grafia fonemica -o comunque che pretenda di essere tale-, la corrispondenza tra “detto” e “scritto” -cioè tra fonema (dal gr. phonos = suono) e grafema (dal gr. graphos = scritto)- deve essere biunivoca: ciò significa non solo che ad ogni grafema corrisponde uno ed un solo fonema, ma anche viceversa che ogni fonema venga traslitterato in una sola forma. Per esempio il suono interdentale sordo del bellunese (cfr. il TH inglese di “THink”) non può avere lo stesso grafema della Z-sorda (quella dell’it. spaZio) tipica della costa, né questi possono essere usati per traslitterare la S-sorda usata nel veneto centrale: sono 3 suoni diversi, e meritano quindi 3 grafemi diversi, anche se sono suoni corrispondenti, nel senso che quando un bellunese usa l’interdentale, il costiero impiega la Z-sorda, mentre il centrale ripiega sulla classica S-sorda. Per le consonanti C e G dobbiamo però derogare a questa logica di biunivocità, ma ne parleremo approfonditamente più avanti.
Una grafia fonemica ha il pregio di rendere una lingua pronunciabile correttamente anche da chi non abbia mai nemmeno sentito certe parole, o addirittura che non conosca tale lingua. Pensiamo a quant’è più facile pronunciare correttamente il tedesco (che ha una grafia fonemica, pur con qualche “impurità”) anche se non si comprende cosa si sta dicendo; pensiamo invece quant’è difficile pronunciare l’inglese, o peggio ancora il francese, pur magari capendo esattamente il contenuto che si sta leggendo, ma nell’impossibilità di reperire il giusto suono nella babele delle corrispondenze incrociate tra fonemi e grafemi: il lettore è costretto ad imparare “a memoria” le pronunce (es. ingl. “CHest-aCHe” = dolore al petto, ha due diverse pronunce nella stessa parola del grafema CH: la prima è una C-dolce, la seconda una C-dura. Leggi:  /cèst-eik/).
La necessità è quindi coordinare l’uso univoco dei grafemi, in modo tale che la singola “variante”abbia i “suoi” suoni tipici -e i corrispondenti grafemi tipici- inconfondibili e non usati per altri suoni.

7. SCOPO e SIGNIFICATO di una GRAFIA “REGOLATA”

Ciò che vuole proporre questa grafia “regolata” è poi il coordinamento dei vari fenomeni linguistici presenti sul territorio venetofono, portando ad un termine più sistematico il lavoro già approntato con una certa dose di lucidità dal MGX di Michele Brunelli nelle note grafiche introduttive -edizione del 2007-, che è possibile anche grazie al lavoro di ricognizione fatto dalla GVU nel 1995, che però è troppo intricato ed aleatorio per essere applicato nella pratica (sono proposti diversi grafemi “a scelta” per lo stesso suono, con vasto uso di complessanti segni diacritici, e ciò ingenera confusione nella comprensione e nell’uso).
La “grafia regolata” non è quindi un lavoro di superfetazione linguistica, nel senso che non è la creazione di un “esperanto veneto” cioè una lingua di commistione, che è tanto “di tutti” quanto “di nessuno”. Si tratta  piuttosto di un lavoro di coordinamento, che permetta ai veneti di avere un  modo di scrivere la loro lingua, che sia usato da tutti, sia per produrre che per recepire scritti. Ciò è possibile introducendo il concetto di “nodo grafico”: è un concetto non nuovo, ma mai “messo a sistema” in un panorama linguistico univoco.
L’esempio -che sarà classico per descrivere questo concetto- è quello del “nodo grafico” ZS. Esso non ha una sua valenza fonemica propria ed autonoma, ma è appunto un “nodo”, cioè un “grafema di sintesi”: nella grafia “regolata” (d’ora in poi GR), esso riduce ad unità grafica i tre grafemi tipici che si trovano in corrispondenza tra loro all’interno di determinate parole, nelle diverse “varianti”. Per esempio:

               &nbsp
;   it. nazione =     naSion             (S-sorda;         veneto centrale) 

                   it. nazione =     naTHion           (interd. sorda;  veneto bellunese)

                   it. nazione =     naZHion           (Z-sorda;         veneto costiero)

                   it. nazione =     naZSion                                  > veneto regolato

                                                                  per formule: ZS = ZH + TH + S.

Tutti i venetofoni scriveranno naZSion, ma ognuno leggerà la propria, caratteristica pronuncia. Questo accorgimento dei “grafemi di sintesi” o “nodi grafici” consente 3 importantissimi traguardi:

  1. possibilità di unificazione degli scritti di tutte le “varianti” in un unico modo grafico regolato;
  2. poiché si tratta di una “possibilità” di unificazione, significa che rimane aperta la via della conservazione della grafia fonetica di ogni singola “variante”: un bellunese -a seconda della propria volontà, del contesto, dello scopo perseguito, e simili- potrà autonomamente decidere se scrivere in nella Grafia Regolata (GR; scriverà nazsion) o nella Grafia Fonetica Locale (GFL; scriverà nathion), per esempio se necessita di precisare determinati suoni a fini poetici;
  3. nelle scuole, nei manuali, nei testi di didattica, e nelle pubblicazioni a tiratura nazionale, verrà presumibilmente usata la GR. Nell’insegnamento, si inizierà ad insegnare la scrittura con la GR, introducendo poi gradualmente lo studente a saper declinare i “nodi grafici” nei vari fenomeni linguistici locali, e presentando infine anche le declinazioni di altre “varianti”. Ciò significa che -per esempio- in una scuola del Bassanese si insegnerà innanzitutto la GR, si spiegherà poi la lettura “bassanese” del nodo grafico, infine -in una fase più matura- si presenteranno anche le altre declinazioni che sono state sintetizzate in tale nodo. Questo sistema ha l’enorme pregio di permettere ad ogni venetofono di familiarizzare con tutte le “varianti”, e potenzialmente di conoscerle e parlarle tutte con facilità, sapendosi calare quasi istantaneamente nel “clima fonetico” di una certa zona. Se infatti un alto-padovano nella sua “variante” è portato a scrivere “sensasion”, gli sarà difficile identificare immediatamente quale delle 3 S (che per lui sono esattamente identiche) è in feltrino una TH. Con l’accorgimento dei nodi grafici -insegnati e resi “naturali” fin dall’infanzia- gli sarà insegnato fin dall’età scolare che in GR si scrive “sensazsion”, che l’alto-padovano lo legge e lo sente “sensasion”, che un feltrino lo dirà “sensathion”. In questo modo uno stesso testo può essere letto anche dalla stessa persona in tanti plurimi diversi modi quante sono le diverse declinazioni possibili dei nodi grafici; ovviamente, ognuno avrà una pronuncia che gli è più consona e naturale di altre.
8. il “COMPLESSO del SOTTOMESSO”
E’ un disturbo patologico di cui il venetismo soffre da sempre, e che ne ha frenato e condizionato ogni singolo passo, portando spesso -ma non sempre, per fortuna- a scelte assurde, inspiegabili, infruttifere, e pure indifendibili.
Questo “complesso” -come ogni patologia che si rispetti- colpisce molteplici ambiti di applicazione dell’intelletto (teoretico) e dell’agire (pratico) dei veneti che fanno politica (cioè che si adoperano come meglio credono per il benessere della loro comunità, della loro “polis” appunto).
Diversamente dal “complesso di Stoccolma” (quando gli ostaggi iniziano ad amare i propri sequestratori), nel caso dei Veneti, al profondo odio ed al non riconoscimento -tacito od esplicito- dell’autorità del soverchiante italiano si accompagna un’involontaria, subdola, insana accettazione dello status di sottomissione in cui versano il Popolo Veneto, la sua Storia, la sua millenaria Cultura. Non solo: ogni pretesa italiana soprattutto sul piano culturale, viene tacitamente accettata, in quanto l’operare di molti del venetismo continua a dirigersi sempre verso nuovi lidi, senza mai consolidare, difendere quanto già conquistato, e lasciando sguarnite le più durevoli roccaforti del bagaglio identitario veneto.
Così, se lo Stato italiano crea la “Regione Veneto”, il venetismo preferisce gettare dalla finestra il termine “Veneto” -come nome del territorio- ed inventarsi un’improbabile “Venetia”, o simili.
Se la cricca partitica italiana fa abuso del Nostro Leone Marciano, sugli stemmi delle associazioni e dei partiti tende a sparire il Leone, e compaiono simboli tra i più impensabili (fino alle foglie di fico della vergogna), e s’arriva a proporre di sbarazzarsi del millenario simbolo dei Veneti, perché ormai “vecchio”.
Se gli italofoni pronunciano la Z del veneto (S sonora) come la loro Z di spaZio (Z-sorda; come nel tedesco “Zeit”), i veneti devono cambiare la loro toponomastica e la loro onomastica secolari per adeguarsi bellamente al furto con scempio grafico-fonetico compiuto dall’italiano sul veneto? Dobbiamo rinunciare ai nostri veri cognomi? Ai secolari nomi delle nostre città? Perché sostituirla con la X? Gli Zorzi, gli Zanin, gli Zonta saranno Xorxi, Xanin, Xonta? Non sembrano forse cognomi più tipici cinesi che veneti? Zara diventerà Xara (recente modello di automobile)? Bolxan sarà un comune vicentino o un nuovo detersivo?
9. il VENETO nel CONTESTO LINGUISTICO EUROPEO

Presso molti gruppi d’opinione del venetismo (collegandoci al precedente paragrafo sul “complesso del sottomesso”), la lingua veneta viene allontanata anche forzatamente dall’orbita del latino classico -e contestualmente anche del greco-, come se ciò costituisse impurezza della lingua, o sudditanza a chi sa quale padrone. Questa “scelta” pare dettata da esigenze politiche di distacco dall’Italia che -soprattutto nella sua declinazione fascista- si è data arie “imperiali” quantomai ridicole, relegando a sottoculture “barbariche” tutte le manifestazioni culturali non statalizzate, o non fungenti all’edificazione del vergognoso artificio dell’italianità neo-romana. Tuttavia, negando l’evidente rapporto della lingua veneta col latino, sì dà in qualche modo credito alle assurde pretese dell’Italietta fascista, che prosegue nella repubblicana “certezza” -ancora sibilante tra le
bocche e le orecchie degli italiani- di essere eredi delle glorie di Roma. Riappropriandoci del sano e giusto rapporto tra le lingue moderne ed il latino -con i necessari e liberi studi che ancora si devono fare, visti gli ottocenteschi interventi della cultura di Stato-, riusciremo forse a dare il giusto ridicolo a queste folli teorie neo-imperialiste.
Una delle prime ricerche da fare, riguarda un po’ tutte le lingue “locali” presenti prima dell’approdo della conquista romana (o dell’alleanza alla pari -foedus aequum-, nel caso dei paleo-Veneti): si riconoscono forti influenze dell’etrusco sulla formazione del vocabolario e della sintassi del latino pre-classico, ma a tutte le altre lingue pre-romane di cui abbiamo evidenze dagli studi sulla paleolinguistica -tra cui il Venetico, lingua dei Venetici, o paleo-Veneti- nulla è riconosciuto nell’influenza del latino. Eppure moltissimi sono stati i poeti e pure gli storici provenienti dalla regione che Augusto denominò “Regio Decima: Venetia et Histria”, Livio e Virgilio, su tutti.
Poiché chi scrive non ha né le competenze, né la volontà, né il diritto di intervenire su questi delicati argomenti di “paleolinguistica”, poiché alla ricerca non si applicano -e non si devono applicare- criteri di scelta politica, si è deciso di fare un passo indietro nella questione del rapporto tra il “sostrato indoeuropeo” (particolarmente in discussione nei tempi presenti) la lingua venetica, la lingua greca, la lingua latina, e la lingua veneta moderna, lasciando il campo sgombero alla libera ricerca dei moltissimi validi studiosi che hanno voluto, vogliono e vorranno donare il sacrificio del loro lavoro e la luce della loro onestà intellettuale a questi importanti nodi storico-linguistici.
Tuttavia -ancora una volta per comodità- sarebbe assurdo togliersi la possibilità di fare riferimenti al greco o al latino -cosa da cui invece molti si guardano, per i motivi politici esposti sopra-: è infatti utilissimo rifarsi al lessico di tali lingue, anche e soprattutto con intenti etimologici. Usualmente, siamo stati abituati dalla cultura imposta italiana alla locuzione “deriva dal latino” o “deriva dal greco”, come se tutto e solo fosse dovuto a tali due lingue, come se nella memoria storica di un popolo -memoria che infondo si chiama “lingua”- si potesse premere il pulsante “reset”, cancellando secoli di evoluzioni e assunzioni linguistiche. Così sarebbe accaduto secondo alcuni linguisti -di dubbia onestà intellettuale-, e cioè i Venetici -e così tutti gli altri popoli entrati in contatto coi Romani- si sarebbero immediatamente spogliati della loro millenaria sedimentazione linguistica inchinandosi di fronte ad una perfezione onnicomprensiva -sa di mito, più che di studio- che il latino avrebbe avuto in sé.
C’è da dire che, se anche così fosse avvenuto, questo sarebbe stato possibile solamente se ci fosse stata una certa substanziale comunanza tra il venetico ed il latino, perlomeno a livello di lessico. Da un punto di vista prettamente ipotetico, probabilmente le c.d. radici indoeuropee erano comuni o accomunabili a livello di lessico tra venetico e latino -ed etrusco, il cui alfabeto era simile a quello venetico-, ma l’elaborazione sintattica e morfologica del latino era più avanzata, più matura, o più condivisibile, e si è imposta per questioni di “merito”, perché che sia stata imposta con le armi o con la propaganda, nell’ante-Cristo è assai improbabile, visto che solo con 50 anni di bombardamento televisivo l’Italia è riuscita ad insegnare ai veneti l’italiano, senza nemmeno ottenere -grazie a dio- che esso si sostituisse al veneto.
Ribadendo quindi la totale ipoteticità di tale visione, e ricordando gli sforzi politici fatti per disistimare tutto ciò che latino o “latinabile” non era o non è, riteniamo giusto rifiutare la canonica locuzione “deriva dal latino”, o simili, e nell’attesa che i giusti studi riempiano questo vuoto culturale non scriveremo “can; dal lat. canis”, ma ci limiteremo a proporre un “confronta” tra lemmi di lingue “alla pari”: “can; cfr. lat. canis = cane” così come “piron; cfr. greco perein = infilzare”, o come “dì ‘vanti; cfr. francese avant = dopo”, o come “butiro; cfr. ingl. butter = burro”.
Sulla scia di questo rinnovato rispetto per ogni lingua passata e presente, s’inserisce anche la volontà di “sacrificare” (negli scritti) certe peculiari “venetizzazioni”di termini stranieri, che spesso si verificano in campi come l’onomastica, la tecnologia, la gastronomia, la toponomastica. Al bando quindi scritture come “Oropa” (meglio “Europa”, come Europe) o come conpiuter o conputadore (meglio “computer”): se dall’estero proviene un certo prodotto, una certa idea, un certo nome di luogo o persona, lo si preservi tale, evitando fenomeni come le tipiche italianizzazioni fasciste e dando il giusto rispetto alle idee, alle cose, ai nomi altrui. Solo così  i nostri biscotti “Załeti” non li vedremo scritti “Yellowies”.

10. proposta di CONVENZIONE GRAFICA INTERNAZIONALE (CO.GR.I.)

Nell’analisi delle problematiche grafiche del veneto da cui è scaturita la ricerca di possibili soluzioni nelle scelte già operate nelle passate codificazione di altre lingue (quali l’italiano, lo spagnolo, il portoghese…), ci si è imbattuti in problematiche simili (a volte più lenite, spesso più accentuate) anche nelle lingue già codificate. Emblematico è il caso del suono che in italiano si scrive GN, come spiegato nel paragrafo 5.
Pertanto, costruendo una grafia fonemica per il veneto, ci si è accorti che essa risolveva molti problemi -o meglio: confusioni- che il veneto avrebbe potuto condividere con altre lingue neolatine: dall’italiano al portoghese, dall’occitano allo spagnolo (castigliano), dal catalano al siciliano al sardo…
Naturalmente, il veneto non ha tutti i suoni impiegati da altre lingue (per esempio in veneto non esistono i suoni che in italiano si scrivono GL e SC), né le altre lingue hanno tutti i suoni impiegati dal veneto (pensiamo alla Ł, o alle interdentali sorda TH e sonora DH, del tutto assenti in italiano). Pertanto, si è resa necessaria un’opera di coordinamento dei grafemi usati per definire tutti i fonemi che compaiono nelle suddette lingue.
Ecco che ha preso forma questo progetto di Convenzione Grafica Internazionale (Co.Gr.I.) che, partendo dalla volontà di dare alla lingua veneta una grafia il più possibile “naturale”, è finito per inserirsi -quasi inconsapevolmente- come prossimo passo di quella Dichiarazione d’intenti del 1888, che finora era rimasta una superfetazione da dizionario, poiché mai rilevata nella pratica dello scrivere quotidiano di alcuna lingua.
La caratteristica comune a queste lingue neolatine e che rende praticabile -allo stato delle cose- questo progetto è il fatto che i parlanti sono grossomodo abituati ad avere una ortografia fonemica (cioè con alta corrispondenza tra grafema scritto e fonema pronunciato). Poiché l’elemento necessario è “l’abitudine all’ortografia fonemica”, questo progetto ben si applicherebbe a qualunque altra lingua che adotti un alfabeto latino e i cui parlanti siano appunto abituati a leggere ciò che scrivono lettera per lettera, o almeno sillaba per sillaba, come potrebbe facilmente avvenire per molte lingue slave, e in parte per li
ngue germaniche.
La speranza ed il desiderio sono quindi che le varie accademie di lingua interessate (autorizzate o meno) si siedano attorno ad un tavolo per discutere sia dei principi contenuti in questo testo (naturale, anche se non  intenzionale prosecuzione dei punti del 1888), sia delle scelte grafiche operate in ottemperanza ai suddetti principi, per verificarne bontà, coerenza, applicabilità, convenienza.
Un appello invece ancora più accorato va a quelle tra le lingue citate che -come il veneto- hanno subito o ancora subiscono discriminazioni culturali, oppure sono a rischio estinzione: ci rivolgiamo quindi a tutti gli indipendentisti  che vogliano far tesoro di questa enorme e storica possibilità di abbattere una delle tante barriere che dividono i veri popoli d’Europa. Incontrandoci, confrontandoci e collaborando fraternamente sulla lingua potremo dare una rinnovata spinta, una fresca energia all’indipendentismo stesso: coordinando le grafie delle nostre lingue potremo dimostrare ai nostri e agli altri popoli che abbiamo armi per difendere la nostra cultura, e che -nonostante i mille ostacoli posti sul nostro cammino- abbiamo menti e cuori per battere sul tempo le obsolete e pachidermiche macchine degli Stati centrali che ci opprimono.

                                                                                                                                 



Dove starebbe la "Maturità"?

        E’ scandaloso come in Italia si faccia di tutto per far provare ai giovani, agli studenti cosa sia l’ingiustizia. Si pretendono da loro (giustamente) competenze di un certo livello, dedizione allo studio, capacità critica ed inventiva dove serve: questi requisiti sono sacrosanti punti fermi per lo sviluppo di criteri meritocratici. Tuttavia quando si pretende, si deve anche dare. Se si pretende “maturità” dagli studenti, si dimostri maturità -personale e professionale- anche da parte dei docenti e dei burocrati del sistema scolastico

           
            Chi non ricorda le parole dell’ex ministro Fioroni, che ad inizio aprile 2008 (a suggellare l’imminente termine della sua controversa esperienza ministeriale) bellamente affermava: “Credo che la scuola italiana non abbia più bisogno di riforme. Hanno per tanti anni parlato delle famose ‘3 i’, ma io ho riscontrato soltanto la quarta ‘i’, molto profonda e radicata, che è quella dell’ignoranza”. Tali affermazioni sono la pietra tombale non del ministro, del governo o della sua fazione politica, ma dell’intero sistema scolastico italiano e -per estensione- dello Stato italiano e dei suoi “ideali” di colonizzatore.
            A riprova di ciò, dopo l’avvento del “nuovo” governo e della nuova ministro Gelmini il disastro dell’“Esame di Stato” non è stato scampato, con nomine di commissari esterni fatte la sera prima della prima prova (visti i molti rifiuti -spesso ingiustificati- dei docenti), folli accoppiamenti tra scuole (certe commissioni esterne sono affiancate a commissioni interne di istituti distanti decine di chilometri tra loro), ma soprattutto indicibili errori nelle prove ministeriali, soprattutto nella varietà della seconda prova, quella specifica per ogni tipo di istituto.
            Se i burocrati ministeriali dello Stato italiano proclamano l’instaurazione della meritocrazia nell’iter formativo degli studenti, abbiano la coerenza di licenziare o almeno penalizzare i docenti incapaci, irresponsabili e lavativi, premiando invece i virtuosi.  Abbiano ancor di più la coerenza di dimettersi di fronte alla propria incapacità, irresponsabilità, negligenza ed imperizia: in quale Paese coloro che stilano le prove ministeriali non si degnano di consultare quei programmi ministeriali che loro stessi hanno compilato ed imposto? in quale Paese si richiedono competenze dopo averne imposte tutt’altre? in quale Paese le prove contengono informazioni sbagliate, richieste impossibili, dati insufficienti e grossolani errori che ostacolano la comprensione delle domande e dei testi, ed inducono gli studenti in errore, tanto che alle loro segnalazioni i docenti confermano l’incomprensibilità o l’irrisolvibilità, e neppure sono autorizzati ad assumersi l’onere (e quello che sarebbe un giusto onore) di rendere coerenti e quindi risolvibili le prove, a tutto vantaggio degli studenti e della credibilità -ma è tardi ormai- di questo sistema?
            Il Veneto Serenissimo Governo, erede e continuatore della storia, cultura e tradizioni della Veneta Serenissima Repubblica, in linea con i principi fondamentali contenuti nella sua proposta di Costituzione Veneta invita tutti gli studenti Veneti a coordinarsi in un progetto per la futura Istruzione Veneta, fondata sulla meritocrazia sia per gli studenti che per i docenti; su meccanismi di controllo decentrati ed autogestiti dalle comunità, in concerto tra loro; sulla volontà di formare gli individui, dando loro gli strumenti e le tecniche necessarie per decidere liberamente e consapevolmente come costruire il proprio futuro professionale, economico e sociale.
Venezia, 25 giugno 2008
Il Responsabile del Dipartimento Scolastico
Alessandro Mocellin




Cambiare nome al "Passaggio Napoleone"

Sabato 10 marzo è uscito sull’Arena un articolo che parlava della proposta di cambiare nome al "Passaggio Napoleone". La proposta era di intitolare quella località alle "Pasque Veronesi" per far conoscere l’altra verità della nostra storia che non viene insegnata a scuola. A fianco c’era la risposta di uno "storico" Veronese che pubblichiamo quì di seguito.

Poi di seguito c’è la repllica del Vicepresidente Luca Peroni.

Sabato 10 marzo è uscito sull’Arena un articolo che parlava della proposta di due consiglieri comunali della Lega Nord di Dolcè e Sant’Ambrogio, in Valpolicella VR, di cambiare nome al "Passaggio Napoleone", una località che si trova al confine tra i due comuni, chiamata cosi per aver visto il passaggio del generale Francese. La proposta era di intitolare quella località alle "Pasque Veronesi" per far conoscere l’altra verità della nostra storia che non viene insegnata a scuola. A fianco c’era la risposta di uno "storico" Veronese che pubblichiamo quì di seguito.

Brugnoli dice no 

"E un’idea assurda cambiare la storia"

Sant’Ambrogio. "Ma è assurdo!", è la replica di Pierpaolo Brugnoli, presidente del centro di documentazione per la storia della Valpolicella, appassionato ricercatore. "I nomi dei luoghi ricodano sempre i fatti storici che vi sono avvenuti, specialmente le battaglie, vere o false che siano, più o meno importanti. Napoleone è passato da lì, ha combattuto la battaglia di Rivoli e cosi si ricorda il suo passaggio da quelle parti con il nome nel punto in cui è passato. E’ sempre stato così, ci sono migliaia di esempi simili.

"Non vedo perché", aggiunge Brugnoli, "si debba cancellare la memoria storica di un fatto, come non si usa più cancellare la memoria di qualche personaggio storico che è poco gradito, con la famosa "Damnatio memoriae", solo perché Napoleone ha eliminato la Repubblica di Venezia". 

Conclude lo storico della valpolicella: "la Serenissima non ha fatto di meglio con i Veronesi: ha imposto il suo dominio con la forza, eravamo popolazioni sottomesse e sfruttate, la cosiddetta Repubblica ha pestato i piedi alla gente".  (g.g.)

  

Risposta di Luca Peroni
Sicuramente lo "storico" Pierpaolo Brugnoli dovrà rendere conto a chi lo paga per esortare falsità storiche fuori luogo nella maniera con cui ha fatto nell’articolo uscito il 10 Marzo. Chiunque con un po’ di buon senso e una licenza elementare è a conoscenza, o lo dovrebbe essere, insegnanti permettendo, che la Serenissima è stata il più longevo esempio di buon governo della storia, con i suoi 1100 anni di repubblica indipendente, sistema ancora studiato ed invidiato in tutto il mondo. La sua celebrità prima di tutto è stata la salvaguardia dei diritti e della libertà.Gli altissimi insegnamenti morali e le conquiste civiche in ogni settore del vivere civile, fanno tuttora, a distanza di oltre due secoli dalla sua alienazione dal consesso internazionale, un pilastro portante della cosi detta civiltà occidentale. Nei primi anni del 1400, Verona come tutte le altre città della terraferma veneta (unico caso al mondo) chiede e conclude un patto di dedizione e passa sotto il "dominio" della Serenissima. Le autorità venete prendono ufficialmente possesso del territorio veronese "tra l’acclamazione del popolo e le sincere manifestazioni di esultanza per la coscienza di trovarsi, dopo tante inquietudini, sotto un governo saggio e forte. Il 24 giugno, da allora, fu ricordato ogni anno dai veronesi con una solenne processione dal Duomo a S. Giovanni in Valle e con pubblica giostra che richiamava valenti cavalieri da tutta la penisola. Con la Bolla d’Oro consegnata dal Doge Michele Stemmo, Verona ricevette l’assicurazione che non sarebbero stati abrogati gli statuti del comune e quelli della casa dei mercanti. La Serenissima permise che Verona continuasse a godere delle libertà derivate dalle "Podestà di ragunar Senato, di crear Magistrati, di far leggi, e di governar la città, e le cose pubbliche, rimanendo a veneti Senatori il travaglio, i pericoli e la spesa" (Maffei); tra le altre, Verona ottenne sempre con la Bolla d’Oro il privilegio che " non sarebbe mai stata tratta fuori dal territorio veronese alcuna vettovaglia, se prima non fosse provvisto abbondantemente alla città. Inoltre, Venezia, concesse privilegi ai contadini della Valpolicella, per essersi mostrati favorevoli a San Marco nelle guerre contro i Viscontei, "potranno eleggere autonomamente un Vicario nella persona di un patrizio veronese che li rappresenti direttamente presso il Doge". Si potrebbe continuare oltre per un bel po’ citando carte, contratti ecc. ma per essere brevi, basti pensare che nei suoi lunghi 1100 anni di esistenza, la Serenissima è vissuta senza alcuna sommossa popolare degna di questo nome e che nel momento della sua caduta, le classi popolari, a volte in contrasto con le autorità, sostennero volontariamente la lotta contro il terrorista Napoleone in tutto il territorio veneto mettendo a repentaglio senza indugi le loro vite. A Verona, con le famose pasque veronesi, ci fu una delle più grosse rivolte popolari in assoluto di tutta Europa, che videro i coraggiosi cuori Marcheschi sopraffare le truppe francesi, rivolta sedata solo grazie a complicità, voltafaccia e tradimenti di matrice borghese oramai complice in tutto e per tutto con i giacobini assetati di ricchezze altrui. Una cosa mi sento di condividere con il sig. Brugnoli ed è che veramente Napoleone ha eliminato la repubblica Veneta, ma non sicuramente da valoroso uomo d’onore come si soleva operare prima del suo arrivo, ma da astuto progenitore dei sanguinari dittatori del ventesimo secolo, e in barba alla neutralità disarmata della Serenissima, vera capostipite dell’odierno pacifismo, promossa con la speranza di salvare il salvabile, e che non ha fatto altro che far perdere alla Nazione Veneta la sua plurimillenaria e legittima indipendenza, facendo piombare il Veneto nel periodo più buio che abbia mai conosciuto,  obbligato suo malgrado a partecipare ad un infinità di guerre, oppresso da una gigantesca pressione fiscale che ancora dura ai giorni nostri, costretto ad un emigrazione tra le più grandi del mondo e cadendo inesorabilmente schiavo di istituzioni estranee alla sua tradizione.
Luca Peroni
Vicepresidente Vicario Plenipotenziario del
 Veneto Serenissimo Governo