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Liberi Masi di Coi e Col

Dal XIV secolo, ai lembi occidentali del Municipio romano di Zuglio Carnico, nostra Patria
Ieri mattina (5 Febbraio) il delegato del Veneto Serenissimo Governo per le Aree e Co-munità montane, Marco De Cesero, accompagnato da un collaboratore, ha avuto un incontro con don Floriano Pellegrini, cancelliere della Fondazione della sua famiglia, che conserva l’archivio storico dei Liberi Masi di Coi e Col, alle pendici del Pelmo.

Coi, 6 febbraio 2008

Comunicato Stampa

Ieri mattina il delegato del Veneto Serenissimo Governo per le Aree e Co-munità montane, Marco De Cesero, accompagnato da un collaboratore, ha avuto un incontro con don Floriano Pellegrini, cancelliere della Fondazione della sua famiglia, che conserva l’archivio storico dei Liberi Masi di Coi e Col, alle pendici del Pelmo.
Si tratta, infatti, di un archivio prezioso, per il quale è stata avviata la pratica di vincolo presso il competente Ministero. E’ una raccolta di migliaia di documenti, trasmessi di generazione in generazione, tra i vari nuclei familiari dei Pellegrini, di-scendenti dai fondatori del maso di Coi, nel XIV secolo, nonché di altri documenti provenienti dal maso dei loro consorti di Col, dai consorti Rizzardini e da altri sog-getti, della valle o dei posti più disparati. C’è, ad esempio, un inedito diario di bor-do di un comandante della Marina austriaca dell’Ottocento, di Lussino, in Dalmazia.
La Fondazione familiare possiede, inoltre, un’interessante raccolta di libri d’epoca veneta, che danno una testimonianza visiva e palpabile del modo di vivere e di sentire al tempo della gloriosa Repubblica di San Marco.
Tra i due enti, visti gli interessi comuni, è stata posta allo studio una serie di iniziative culturali, che verranno attuate nella prossima estate, possibilmente coin-volgendo i centri capoluogo delle Magnifiche Comunità storiche della montagna veneta.

[d. F. P.]




60 anni fa l’Onu decretava la nascita di Israele

In occasione del 60esimo anniversario della storica risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu sulla creazione dello Stato di Israele (Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 sulla spartizione del Mandato Britannico), pubblichiamo una sintesi storico-politica dei nodi del conflitto arabo-israeliano tratta dal capitolo “La travagliata ricerca della pace fra Israele, palestinesi e paesi arabi” in: M. Paganoni, "Ad rivum eundem: Cronache da Israele" (2006, Proedi, Milano).

Israele e Palestina non sono due entità distinte, una accanto all’altra, una occupata dall’altra. Israele e Palestina sono i due nomi con cui, nel corso della storia, popoli diversi hanno indicato la stessa terra.
La Terra d’Israele – sulla quale il popolo ebraico si formò e conobbe nell’antichità lunghi periodi di indipendenza – divenne successivamente la provincia di Palestina, governata da imperi più vasti: romano, bizantino, arabo, crociato, ottomano, britannico.
Tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, quella Terra d’Israele sulla quale il sionismo (il movimento risorgimentale del popolo ebraico) aspirava ad esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione era la stessa Palestina che il nazionalismo arabo considerava parte integrante e irrinunciabile delle terre arabe da riscattare e unificare.
È la terra che nel 1922 la Gran Bretagna decide di dividere in due parti, una al di là del fiume Giordano destinata a diventare un regno arabo; l’altra, tra il Giordano e il mar Mediterraneo, destinata ad ospitare la “sede nazionale” promessa agli ebrei dalla Società delle Nazioni.
È la terra – tra il fiume e il mare – che nel 1947 l’Onu decide di spartire una seconda volta, suddividendola in due Stati (con Gerusalemme sotto governo internazionale per dieci anni). Il 29 novembre 1947, infatti, con la risoluzione 181 l’Onu raccomanda la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno arabo e uno ebraico. È la risoluzione su cui si basa la dichiarazione di indipendenza dello Stato d’Israele (14 maggio 1948). Gli stati della Lega Araba si oppongono e scatenano la guerra. Israele riesce a difendere la propria esistenza. I territori destinati agli arabi palestinesi e la parte est della città di Gerusalemme cadono, invece, sotto occupazione giordana ed egiziana.
Dopo la guerra, i rapporti fra Israele e paesi confinanti vengono regolati da accordi armistiziali espressamente provvisori che “congelano” per quasi vent’anni la linea del cessate il fuoco (Linea Verde). Nel frattempo la guerra ha provocato anche lo sfollamento di alcune centinaia di migliaia di profughi: arabi di Palestina verso i territori sotto controllo arabo (dove vengono chiusi nei campi profughi), ebrei dai paesi arabi verso Israele (dove vengono integrati).
Dal 1949 al 1967 la questione arabo-israeliana è relativamente chiara. Israele vuole negoziare con i paesi vicini i termini di una pace stabile (confini definitivi, libertà di scambi e navigazione, apertura di ambasciate, garanzie reciproche sulla sicurezza, sforzo congiunto per la soluzione del problema dei profughi). I paesi arabi rifiutano l’esistenza di Israele, persistono a occupare terre palestinesi e varano una politica di assedio economico, diplomatico, propagandistico e terroristico di Israele, in attesa di una futura soluzione militare.
Il quadro cambia nel giugno 1967 quando l’assedio arabo genera l’escalation che sfocia nella “guerra dei sei giorni” al termine della quale i territori di Palestina, già occupati dagli stati arabi, passano sotto controllo israeliano. Israele spera di poterne usare una parte per ottenere in cambio la pace. Gli stati arabi rispondono con “i no di Khartoum” al riconoscimento e alla pace con Israele (1 settembre 1967).
Il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza approva la risoluzione 242 che in sostanza dice a Israele e paesi arabi: non avete il diritto di “acquisire territori con la guerra”, quindi dovete negoziare per arrivare a una pace “giusta e duratura”. Il negoziato dovrà ispirarsi ad alcuni punti: un “ritiro delle forze israeliane entro confini sicuri e riconosciuti”, la “fine di ogni pretesa o stato di belligeranza”, il “rispetto e il riconoscimento della sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di ogni stato della regione”. Con la 242 l’Onu non dice quale debba essere il confine fra Israele e arabi, né fa cenno alla creazione di nuovi stati indipendenti. Quello che dice a Israele e vicini arabi è che devono concordare un confine e rispettarlo, e che bisogna trovare una soluzione ai problema umano dei rifugiati.
Israele accetta la 242 e si dichiara pronto a negoziarne l’applicazione con ogni stato arabo disponibile. I trattati di pace con l’Egitto (1979) e con la Giordania (1994) verranno infatti stipulati sulla base della 242.
Con gli Accordi-Quadro di Camp David del 1978 Israele va oltre: accetta il principio che la 242 venga applicata anche al caso dei palestinesi, come fossero uno degli “stati della regione” citati dalla risoluzione. In altre parole: lo stato arabo-palestinese non c’è (i paesi arabi ne hanno impedito la nascita), ma in futuro ci sarà e dunque può trattare come se fosse l’Egitto o la Giordania. È un’interpretazione che potrebbe aprire la strada a negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, ma nel 1978 il mondo arabo (Egitto a parte) rifiuta gli Accordi di Camp David e il negoziato con Israele.
Sul piano giuridico-diplomatico il “fronte del rifiuto” arabo paralizza la situazione per altri quindici anni. Solo allora, infatti, dopo la sconfitta delle forze militari palestinesi in Libano (estate 1982), lo scoppio della prima rivolta dei palestinesi nei territori occupati (dicembre 1987) e la fine della guerra fredda (1989), l’Olp accetta di riconoscere Israele (scambio di lettere del 9 settembre 1993). Con la stretta di mano Rabin-Arafat e la firma della Dichiarazione di Principi (13 settembre 1993) e dell’Accordo ad interim (28 settembre 1995), si avvia il processo di pace israelo-palestinese (processo di Oslo) basato su: riconoscimento reciproco, ripudio di violenza e terrorismo a favore del negoziato, applicazione graduale di accordi transitori con la nascita di un’Autorità Palestinese provvisoria, sino alla firma di un accordo definitivo che porrà fine al conflitto e a ogni ulteriore rivendicazione.
Il processo di Oslo non si ferma con l’assassinio di Yitzhak Rabin (4 novembre 1995). Nei mesi successivi, benché continuino gli attentati, Shimon Peres ritira le forze israeliane dalle città palestinesi (dicembre 1995) e indice le prime elezioni palestinesi nei territori (20 gennaio 1996). Negli anni seguenti Benjamin Netanyahu, sebbene contrario a Oslo, non si discosta dallo schema: incontro con Arafat (4 settembre 1996), accordo su Hebron (15 gennaio 1997), Memorandum di Wye Plantation (23 ottobre 1998).
L’apice viene raggiunto da Ehud Barak che, al summit di Camp David del luglio 2000, e di nuovo nel dicembre accettando la formula Clinton, offre a Yasser Arafat un accordo definitivo con la nascita di uno stato palestinese sul 97% dei territori e capitale a Gerusalemme est, più indennizzi per i profughi. Ma Arafat rifiuta. Scrive Dennis Ross, allora consigliere della Casa Bianca: “Arafat non fu in grado di porre fine al conflitto. Accordi parziali erano per lui sempre possibili, un accordo complessivo no. Poteva convivere con un processo, non con la sua conclusione”.
Scoppia nel frattempo l’
intifada al-Aqsa, la più massiccia ondata di attentati stragisti subita dalla società israeliana. Mentre naufragano vari tentativi internazionali di far cessare le violenze (Commissione Mitchell, mediazioni Tenet e Zinni), nella primavera 2002 Israele reagisce agli attentati rientrando nelle città palestinesi (Operazione Scudo Difensivo) e isola Arafat, asserragliato con un gruppo di terroristi nel suo quartier generale a Ramallah.
A questo punto il Consiglio di Sicurezza adotta la risoluzione 1397 (12 marzo 2002) che, facendo propria la lettura della 242 allargata ai palestinesi, afferma “la prospettiva di una regione in cui due stati, Israele e Palestina, vivano fianco a fianco entro confini sicuri e riconosciuti”. Ancora una volta, coerentemente, l’Onu non dice quali debbano essere i futuri confini, né prescrive ricette per risolvere nodi come Gerusalemme, i profughi ecc. Ma afferma che lo stato di Israele e il (futuro) stato di Palestina devono “riprendere i negoziati per una composizione politica” e che per farlo è necessario innanzitutto che “cessi ogni atto di violenza, comprese tutte le forme di terrorismo, provocazione, istigazione e distruzione”.
Ma il terrorismo non cessa. Il 23 aprile 2003 il Quartetto Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu formula un piano detto Road Map, che rilancia la soluzione “due stati” secondo un calendario di tappe ravvicinate che prevede innanzitutto la cessazione del terrorismo. Il 4 giugno il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il primo ministro palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si incontrano ad Aqaba, in Giordania, e sottoscrivono la Road Map. Alla fine del mese alcune fazioni palestinesi concordano di rispettare una hudna (tregua provvisoria), ma già ad agosto l’ennesimo attentato suicida uccide 22 persone su un autobus di Gerusalemme. Poco dopo, mentre Abu Mazen è costretto da Arafat a rassegnare le dimissioni, Israele reagisce con una campagna mirata contro i capi di Hamas (uccisioni di Ahmad Yassin e Abd al-Aziz Rantisi).
L’11 novembre 2004, a Parigi, muore Arafat. Sharon, considerando il netto ridimensionamento subito dal terrorismo (grazie anche all’avvio della costruzione di una barriera difensiva fra Israele e territori palestinesi), ma anche la mancanza di un interlocutore negoziale affidabile, lancia il ritiro unilaterale di civili e militari israeliani dalla striscia di Gaza (agosto 2005), nella convinzione che esso risponda a vitali interessi israeliani (economici, militari, diplomatici, demografici).
Il 28 gennaio 2005 i palestinesi eleggono al posto di Arafat il più realista Abu Mazen che, in un incontro con Sharon a Sharm el Sheikh, si impegna a far cessare ogni violenza anti-israeliana. Ma un anno dopo, alle elezioni parlamentari, attribuiscono la maggioranza assoluta dei seggi a Hamas, potente organizzazione fondamentalista palestinese, responsabile di molte stragi terroristiche e contraria all’esistenza dello stato di Israele.
Nel dicembre 2005 Sharon esce di scena, colpito da ictus cerebrale. Poco dopo, nel marzo 2006, il successore Ehud Olmert vince le elezioni dichiarando: “Procederemo con ulteriori ritiri unilaterali: non abbiamo intenzione di aspettare per anni che Hamas si decida a riconoscere il diritto di Israele ad esistere”. È il cosiddetto piano di “convergenza” o “riallineamento”: concentrare gli insediamenti in pochi grandi blocchi a ridosso della Linea Verde, e ritirarsi dal resto della Cisgiordania.
Sembra di essere a un passo dalla effettiva separazione dei due popoli. Ma per tutti i mesi che vanno dall’estate 2005 all’estate 2006 organizzazioni armate palestinesi lanciano centinaia di razzi Qassam dalla striscia di Gaza sul territorio israeliano. Intanto trasformano gli ex insediamenti israeliani in depositi di armi e campi di addestramento. La situazione precipita quando, il 25 giugno 2006, un commando congiunto Hamas-Brigate al Aqsa attacca una postazione in territorio israeliano, uccide due soldati e ne sequestra uno come ostaggio (Gilad Shalit). Poco dopo, il 12 luglio, con un’analoga operazione sul confine nord, Hezbollah uccide otto soldati e ne prende in ostaggio due (Ehud Goldwasser e Eldad Regev). Le Forze di Difesa israeliane, sotto la guida del ministro della difesa laburista Amir Peretz, reagiscono con operazioni militari in profondità nella striscia di Gaza e in Libano meridionale. Ma la guerra contro gruppi terroristici fanatici, ben armati e sovvenzionati e che si fanno sistematicamente scudo dei civili palestinesi e libanesi, si rivela molto difficile, sanguinosa e dal risultato incerto. E gli Hezbollah, sponsorizzati da Teheran e Damasco, rivelano la potenza di fuoco accumulata negli anni lanciando in 33 giorni di combattimenti più di quattromila missili sulle città di tutto il nord di Israele. La popolazione israeliana, costretta – come quella libanese – a sfollare o nascondersi nei rifugi, resiste con grande determinazione. Ma l’ipotesi politica del ritiro dalla Cisgiordania patisce un duro colpo dall’attacco congiunto subito da Israele sui confini internazionalmente riconosciuti a nord e a sud. “Il pubblico israeliano – spiega Shimon Peres nel settembre 2006 – non si fida più dopo che i terroristi hanno approfittato dei ritiri per trasformare striscia di Gaza e Libano meridionale in roccaforti da cui continuare a colpire Israele”. Arduo si profila il compito della forza Onu Unifil, rafforzata con la risoluzione 1701 del l’11 agosto 2006, di aiutare Beirut a ripristinare la propria sovranità sul suo territorio impedendo che venga di nuovo trasformato in fronte di guerra dai nemici giurati dell’esistenza di Israele




Discorso di Nicolas Sarkozy all'ONU

Riportiamo il discorso del Presidente Francese all’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 25 settembre 2007. E’ un sicuro spunto per la lotta al terrorismo internazionale e per la costruzione di un mondo più libero.

DISCOURS DE

M. LE PRÉSIDENT DE LA RÉPUBLIQUE

62ème Assemblée Générale des Nations Unies

New York – Mardi 25 septembre 2007

Mesdames et Messieurs les chefs d’Etat et de gouvernement,

Mesdames et Messieurs,

J’adresse à tous les peuples que vous représentez le salut fraternel de la France.

Monsieur le Secrétaire Général des Nations Unies,

Votre responsabilité est immense. La France vous fait confiance.

C’est la première fois que je m’exprime au nom de la France à cette tribune. Il s’agit pour moi d’un instant

solennel, d’un instant émouvant. Je ne peux m’empêcher de penser à tous ces hommes, avant nous tous, et

toutes ces femmes qui, dans un des moments les plus tragiques pour l’humanité, où le monde risquait de

sombrer dans la barbarie, des femmes et des hommes, trouvant cette fatalité insupportable, ont su opposer

à la force, à la violence, à la barbarie, la justice et la paix.

C’est alors que naquit l’Organisation des Nations Unies.

L’Organisation des Nations Unies, Monsieur le Secrétaire Général, Mesdames, Messieurs, ce n’est pas une

simple construction politique, ce n’est pas une simple construction juridique, c’est. un réveil de la

conscience humaine contre tout ce qui menace de détruire l’humanité.

Je n’ai jamais cru que l’ONU pourrait un jour extirper la violence qui est dans l’Homme. Mais ce que je

sais au plus profond de moi c’est malgré tous ses échecs, sans l’ONU, nous n’aurions jamais pu mettre un

terme à des conflits qui paraissaient sans issue. Souvenez-vous, Mesdames et Messieurs, le génocide du

Cambodge, ce peuple martyrisé par ses bourreaux, l’indépendance de la Namibie, l’indépendance de

Timor. Regardez la région des Grands Lacs et en Afrique de l’Ouest. Et sans l’ONU le monde aurait peutêtre

connu une troisième guerre mondiale sans doute plus effroyable encore que les deux précédentes.

La France est convaincue que l’ONU est le seul remède que nous ayons à dresser contre l’aveuglement et

la folie qui parfois s’emparent des hommes.

Le message que je veux vous adresser au nom de la France est simple : dans ce monde où le sort de

chacun de nous dépend de celui des autres, l’ONU ne doit pas être affaiblie, l’ONU doit être renforcée. Et

la réforme de l’ONU pour l’adapter aux réalités de ce monde est, pour la France, une priorité absolue.

Nous n’avons pas le temps d’attendre.

C’est à l’échelle planétaire qu’il faut poser et résoudre les problèmes du monde.

Personne sur la Terre ne peut se mettre tout seul à l’abri des conséquences du réchauffement climatique,

du choc des civilisations, des grandes épidémies.

Contre les égoïsmes, contre les fanatismes, contre la haine, nous avons le devoir de renouveler l’appel à la

conscience universelle qui a déjà permis que pour la première fois dans l’Histoire tous les peuples du

monde, toutes les nations acceptent de se réunir dans une enceinte commune pour se parler par-delà tout

ce qui nous divise.

Cet appel à la conscience universelle, c’est un appel à la paix.

C’est un appel à l’ouverture.

C’est un appel à la diversité.

C’est un appel à la responsabilité.

Et c’est un appel à la justice.

La France a toujours cherché à être plus grande pour les hommes que pour elle-même.

La France comme toutes les nations a, au cours de sa longue histoire, commis des erreurs et même parfois

des fautes. Mais le peuple français a toujours choisi le camp de la liberté et celui de la démocratie.

La France est fidèle à ses amis et aux valeurs qu’elle partage avec eux. Mais la France veut dire que cette

fidélité n’est pas une soumission, cette fidélité n’est pas un enfermement. Cette fidélité, la France veut la

mettre au service de l’ouverture aux autres.

Je veux dire au monde que la France restera disponible pour parler avec chacun dans le monde, sur tous

les continents.

Je veux dire aussi que l’ouverture n’est pas la démission,que la compréhension ce n’est pas la faiblesse. La

faiblesse et la démission ne sont pas des facteurs de paix mais des facteurs de guerre. La France et

l’Europe en ont éprouvé jadis les conséquences tragiques pour elles-mêmes et pour le monde. Quand on

est faible et soumis, alors on se prépare à accepter la guerre. Et nous avons tous le devoir de faire en sorte

que cela ne recommence jamais.

Il n’y aura pas de paix dans le monde si la communauté internationale transige avec le droit des peuples à

disposer d’eux-mêmes et avec les droits de l’homme.

Il n’y aura pas de paix dans le monde si la communauté internationale n’a pas une volonté farouche de

lutter contre le terrorisme.

Il n’y aura pas de paix dans le monde si la communauté internationale n’est pas unie dans la volonté d’en

finir avec les guerres au Moyen-Orient, dans la volonté d’en finir avec l’horreur du Darfour, avec la

tragédie libanaise ou avec le drame humanitaire de la Somalie.

Je veux le dire en pesant mes mots,
il n’y aura pas de paix dans le monde si la communauté internationale

fait preuve de faiblesse face à la prolifération des armements nucléaires. L’Iran a droit à l’énergie

nucléaire à des fins civiles. Mais en laissant l’Iran se doter de l’arme nucléaire, nous ferions courir un

risque inacceptable à la stabilité de la région et à la stabilité du monde. Je veux dire au nom de la France

que cette crise ne sera résolue que si la fermeté et le dialogue vont de pair.

C’est dans cet esprit que la France agira.

Je veux dire, au nom de la France, qu’à la volonté de puissance qui sans cesse menace de rompre

l’équilibre si fragile de la paix, la communauté internationale a le devoir d’opposer son unité sans faille et

sa détermination à faire prévaloir le droit.

Je veux dire au nom de la France qu’il n’y aura pas de paix dans le monde sans le respect de la diversité,

sans le respect des identités nationales, sans le respect, -j’ose le mot, -des religions et des croyances, sans

le respect des cultures.

L’attachement à sa foi, à son identité, à sa langue, à sa culture, à une façon de vivre, de penser, de croire,

c’est légitime et c’est profondément humain. Le nier, c’est nourrir l’humiliation. Ce serait donner raison

au nationalisme, au fanatisme, au terrorisme.

On n’évitera pas le choc des civilisations en imposant à tous les peuples de penser et de croire la même

chose. La France entend poursuivre avec tous les hommes de bonne volonté le combat pour construire le

nouvel ordre mondial du XXIe siècle. Nous voulons un Liban qui puisse vivre indépendant et nous disons

que la France sera toujours aux côtés du Liban dans sa volonté d’indépendance

.

Nous voulons que demain Israéliens et Palestiniens trouvent en eux-mêmes la force de vivre en paix. La

paix est possible. Elle est possible maintenant et nous y mettrons toute notre énergie.

Nous voulons la coexistence pacifique des grandes religions pour vaincre les intégrismes et les fanatismes.

Mais je veux dire avec gravité qu’il y a trop d’injustices dans le monde pour que le monde puisse espérer

vivre en paix.

Les fondateurs de l’ONU savaient qu’on lit l’avenir du monde dans le regard de l’enfant martyrisé, de

l’enfant qui a faim, de l’enfant qui voit ses parents humiliés, de l’enfant qui depuis sa naissance n’a connu

que la guerre, de l’enfant qu’on a arraché à sa maison, à sa patrie, à sa famille.

Parce que dans le regard désespéré de cet enfant là, il n’y a pas simplement de la souffrance, il y a toutes

les guerres, toutes les révoltes qui demain ensanglanteront le monde.

Regardons notre monde tel qu’il est. Regardons ce que nous en avons fait.

Avons-nous assez voulu que notre monde devienne plus juste ?

La réponse est non.

Avons-nous assez agi pour cette justice ? La réponse c’est non

Lorsque le mur de Berlin est tombé, nous avons tous rêvé que l’histoire cesserait d’être tragique.

Regardons notre monde tel qu’il est afin de le rendre meilleur Jugeons notre monde à l’aune de la justice.

La justice c’est que les Palestiniens retrouvent un pays, et construise un Etat.

La justice c’est que le peuple israélien ait le droit de vivre en sécurité.

La justice c’est que le peuple libanais retrouve sa liberté.

La justice c’est que le peuple irakien dans sa diversité trouve en lui-même le chemin de la réconciliation,

et de la démocratie.

La justice c’est que le pays en développement auquel on voudrait imposer des règles environnementales

alors que les habitants ont à peine de quoi manger soit aidé pour les mettre en place.

La justice c’est qu’on ne puisse pas exploiter les ressources d’un pays sans en payer le juste prix.

Regardons notre monde en face. Jamais il n’y a eu autant de phénomènes de rente qui concentrent autant

de profits sur quelques grands groupes.

Il y a dans le monde et jusque dans les pays les plus riches, une multitude d’hommes et de femmes, qui

même plus l’espoir de sortir un jour de leur détresse matérielle et morale.

Alors pour terminer, je veux m’adresser à la conscience de tous ceux qui ont une responsabilité dans la

conduite des affaires du monde.

Parce que si nous ne le faisons pas, les pauvres et les exploités se révolteront un jour contre l’injustice qui

leur est faite

C’est d’un nouvel état d’esprit dont le monde a besoin.

C’est un véritable New Deal à l’échelle planétaire qui est nécessaire.

Un New Deal écologique et économique.

Au nom de la France, j’appelle tous les Etats à se réunir pour fonder le nouvel ordre mondial du 21ème

siècle sur cette idée forte que les biens communs de l’humanité doivent être placés sous la responsabilité

de l’humanité toute entière.

Au nom de la France, je lance un appel solennel aux Nations Unies pour que, dans ce siècle marqué par le

retour de la rareté, elles se donnent les moyens d’assurer à tous les hommes à travers le monde l’accès aux

ressources vitales, de l’eau, de l’énergie, de l’alimentation, des médicaments, et de la connaissance.

Je lance un appel solennel aux Nations Unies pour qu’elles prennent en main la question d’une plus juste

répartition des profits, de la rente des matières premières, des rentes technologiques.

Je lance un appel solennel aux Nations Unies pour qu’elles prennent en
main la moralisation du

capitalisme financier.

Je lance un appel aux Nations Unies pour aller plus loin dans la lutte contre la corruption qui mine des

pays qui souffrent et qui sont trop pauvres.

Mesdames et Messieurs,

Il faut que les choses changent, que les mentalités changent, que les comportements changent. C’est notre

responsabilité. C’est notre responsabilité maintenant parce que demain il sera trop tard, parce que sinon

nous verrons ressurgir toutes les menaces que les hommes de l’après-guerre croyaient avoir conjurées Ne

prenons ce risque à la légère.

Peuples du monde, ensemble nous pouvons construire un avenir meilleur pour tous les hommes.

Il ne dépend que de nous, de notre capacité à être fidèles aux valeurs au nom desquelles nous sommes

réunis ici aujourd’hui.

Vous l’avez compris, la France pense que nous n’avons plus le temps d’attendre. La France demande

l’action, la France encourage l’action, la France sera au rendez-vous de l’action au service de la paix dans

le monde.

Je vous remercie.




Altra lezione della nostra Veneta Serenissima Repubblica

Le drammatiche notizie sugli incendi boschivi in Grecia e Croazia hanno in parte oscurato la ben più grave situazione italiana dove da mesi, criminali incendiari vanno avanti senza tregua nel loro infernale agire. Decine e decine di migliaia di ettari di boschi e di macchia mediterranea andati in fumo, a causa di questi incendi interi abitati e luoghi turistici sono stati evacuati e centinaia di persone sono rimaste coinvolte con morti, ustionati e intossicati, per non parlare della fauna sterminata…

Di fronte a questa spaventosa catastrofe che per numero di focolai non ha eguali in Europa si sentono i soliti bla bla… e le solite frasi di circostanza da parte dei governanti romani interessati solo ai loro partitini e alle ormai rivoltanti e ridicole polemiche estive che i media ingigantiscono a dismisura. Questa terribile ferita ambientale che si ripete ogni anno in proporzioni sempre più grandi dimostra ancora una volta che questo stato artificiale è lo stesso che in passato non ha esitato a colpire e distruggere senza pietà per i suoi illegali interessi i legittimi stati preunitari con i loro patrimoni di cultura e valori. Oggi 2007 permettere scempi di tale portata, ben sapendo che la salvaguardia dell’ambiente è diventato bene strategico per ogni paese che vuol dare un futuro al proprio popolo, ha qualcosa di satanico. Ogni uomo libero e onesto Veneto e non si deve augurare che quest’anomalia storica chiamata repubblica italiana cessi quanto prima la sua miserabile esistenza per il bene di tutti.
Questi gravi fatti ci danno anche lo spunto per ricordare brevemente a tutti Veneti come la nostra gloriosa e amata Veneta Serenissima Repubblica tenesse già secoli orsono in considerazione l’ambiente. In anticipo coi tempi rispetto agli altri stati aveva già capito che era fondamentale per garantire il futuro preservare i boschi l’acqua e l’aria. La prima legge organica in materia risale al gennaio 1476 e ne seguirono altre. Gli incendi per esempio provocati con l’intento di aprire nuovi spazi all’agricoltura o per insediamenti produttivi erano da sempre proibiti in maniera assoluta con bandi da parte della massima autorità Marciana: il Serenissimo principe faceva sapere che oltre a comminare pene pecuniarie si passava sotto la giurisdizione criminale.Tutto era minuziosamente regolamentata con descrittivi delle superfici catastali, i tipi di piante con tanto di bollo di San Marco, visite di controllo da parte delle autorità preposte a disciplinare l’uso del bosco e garantirne la conservazione e salvaguardia.Quest’occhiuta sorveglianza provocava qualche volta malumori da parte delle comunità locali che si vedevano bloccare parzialmente le loro principali attività di pastorizia, agricoltura, selvicoltura non controllata, carbone da legna, fosse da calcina ecc…, ma nel contempo garantiva il futuro a queste genti. Lo si vedrà dopo il “tremendo zorno” del 12 maggio 1797 con le testimonianze di amore e rimpianto per il leone di San Marco nelle zone dell’alto Veneto del Friuli e della Carnia. Le foreste e boschi erano privati, di enti o comunità, o di proprietà della Veneta Serenissima Repubblica, in questo caso il bosco si chiamava di San Marco: basti pensare ai boschi dell’Istria e Montona tra cui quello denominato “bellissimo zogiello” (gioiello), alla foresta del Cansiglio e al bosco del Montello che era anche chiamato “presidio per la nostra libertà” perché forniva legno di quercia al Veneto Arsenal. Spesso le comunità montane donavano alla Serenissima i loro boschi non come segno di sottomissione ma di riconoscenza verso un’autorità giusta, leale e onesta che dava prova di questa sua lungimiranza anche nella raccolta e vendita del legno da ardere e del carbone di legna affinché con precise disposizioni d legge non mancasse mai e non ci fossero speculazioni a danno dei meno abbienti.
Si potrebbe continuare quasi all’infinito nell’elencare tutte le normative per la rotazione dei boschi, gli anni che dovevano passare tra un taglio e l’altro, tutti i divieti per l’uso dei pascoli, i trasporti del legname, i depositi, le sanzioni pecuniarie e penali ecc… Queste poche pagine devono far capire a tutti i Veneti quale straordinaria esperienza storica in ogni campo del vivere la nostra amata Veneta Serenissima Repubblica ci ha lasciato in eredità. Purtroppo la sciagurata occupazione giacobina savoiarda italiana del nostro Veneto ha cancellato dalla memoria collettiva tutto questo sovrapponendovi invereconde falsità che da oltre 140 anni ammorbano la vita di tutti noi. Un ultima osservazione: nel febbraio del 1793 da Padova partiva una lettera indirizzata agli inquisitori dell’arsenal da parte del sovrintendente ai boschi della Padovana e Vicentina Carlo Antonio Dondi Orologio, il quale in breve diceva che le guardie del “Serenissimo Principe” che controllavano i boschi, al contrario di quelle private, non hanno insegne di riconoscimento e spesso non sono riconosciute e non sempre rispettate. Allora suggeriva “Di fregiare queste guardie con il San Marco in petto che servirebbe e di maggiore stimolo per l’individuo che si terrebbe glorioso di quel contrassegno di distinzione e di maggior rispetto e considerazione degli altri verso di lui.”
Il contrassegno proposto era ovale con San Marco in moleca bianco in campo verde circondato dalla legenda: REG ARS (regio arsenale) GUARDIA BOSCHI.
Dobbiamo sentirci orgogliosi di appartenere al glorioso millenario vessillo Marciano sostenendo con sempre maggior impegno la sacrosanta lotta per la libertà del nostro Veneto che il Veneto Serenissimo Governo senza risparmio sta portando avanti
Referendum subito
W la Veneta Serenissima Repubblica

W il Veneto Serenissimo Governo

 




A proposito di dignità

Dopo il truce fatto di sangue nella città tedesca di Duisburg, dove sei italiani sono stati uccisi in un ristorante per questioni di regolamenti mafiosi, e dopo la conseguente grandissima risonanza mediatica in tutti i paesi in lingua tedesca, i ristoratori italiani, vedendo un futuro a dir poco incerto, sono corsi ai ripari….

Il presidente di quest’associazione per dimostrare l’estraneità della categoria alla mafia ha proposto di esporre in ogni locale il tricolore e frasi contro la mafia del tipo: “Chi è mafioso non ha dignità” ecc… Questa iniziativa se non fosse grottesca sarebbe a dir poco tragicamente comica.

Vorrei ricordare che la mafia si è espansa nel mondo dopo e grazie all’unita d’italia, che ha distrutto e dilapidato il patrimonio sociale e civile dei legittimi stati preunitari dove non è mai esistito il fenomeno mafioso.

Invitiamo i ristoratori veneti ad assumere in questo caso un barlume di dignità e rifiutare quest’umiliante iniziativa ma al contrario esporre la prestigiosa e gloriosa insegna Marciana la loro unica vera bandiera che per secoli ha garantito prosperità, giustizia, libertà, non solo al nostro Veneto.

E se adesso ci troviamo in questa triste situazione, la si deve sempre a quel tricolore che con l’inganno e l’infamia nel 1866 occupò il Veneto, e gli altri stati preunitari,  provocando tutte le catastrofi che ben sappiamo.

Se mi è permesso vorrei lanciare una proposta al Veneto Serenissimo Governo: mandare una bandiera Marciana a tutti i ristoratori Veneti che intendono esporla nei loro locali.

Un cordiale saluto

Pilade Schiavon




Auguri di Kostunica per Rosh Hashana ai membri della comunità ebraica

 

Belgrado, 12 settembre 2007 – Il presidente del Governo della Repubblica di Serbia Vojislav Kostunica oggi ha porto auguri a tutti i membri della comunità ebraica in Serbia per la festa di Rosh Hashana- il capodanno ebraico

“A tutti i membri della comunità ebraica in Serbia porgo i miei più cordiali auguri per la festa di Rosh Hashana- il capodanno ebraico, augurandoli di festeggiarla in buona salute, vero benessere e gioia spirituale.

La comunità ebraica aveva sempre contribuito allo spirito di tolleranza partecipando attivamente nella realizzazione della mutua comprensione e rispetto tra i membri delle diverse comunità religiose, nonchè alla vita culturale e sociale nel nostro Paese”, si dice nell’augurio del presidente del Governo di Serbia.




KOSTUNICA A UE: INDIPENDENZA KOSOVO MINACCIA PER TUTTI

”Noi riteniamo che l’Onu e il suo Consiglio di sicurezza siano le sole istituzioni in cui il problema del futuro status del Kosovo deve essere risolto”, ha detto Kostunica. ”Ogni altro atto sarebbe una sorta di violazione della legge internazionale”, ha aggiunto il premier serbo, mettendo in guardia contro l’ipotesi di una dichiarazione di indipendenza unilaterale da parte del Kosovo.

 

KOSTUNICA A UE: INDIPENDENZA KOSOVO MINACCIA PER TUTTI
BRUXELLES – ”La Serbia non vuole minacciare nessuno, ma l’Europa deve chiarire che una eventuale dichiarazione di indipendenza unilaterale da parte del Kosovo non solo violerebbe la Carta dei diritti dell’Onu ma sarebbe anche un pericolo per la stabilita’ dell’area e di tutta la comunita’ internazionale”. Lo ha detto il premier serbo, Voijslav Kostunica, al termine dell’incontro con il presidente del parlamento europeo, Hans Gert Poettering.

Kostunica ha ribadito che il Kosovo deve avere la possibilita’ di svilupparsi liberamente ma senza violare l’integrita’ territoriale della Serbia: ”E’ facile raggiungere un accordo se si rispetta il principio di sovranita’ dei Paesi”, ha detto il premier. Belgrado, ha spiegato Kostunica, e’ preoccupata per l’intenzione del Kosovo di dichiarare l’ indipendenza che ”sarebbe una minaccia per la stabilita’ di tutta l’area”, ha affermato.

Da parte sua Poettering ha ricordato che la comunita’ internazionale ha ancora 110 giorni di tempo per giungere ad una soluzione, cioe’ fino al 10 dicembre, data in cui la ”troika” euro-americana-russa dovra’ presentare un rapporto sul Kosovo al Consiglio di sicurezza Onu. E c’e’ attesa anche per le discussioni bilaterali Kosovo-Serbia che si terranno a New York a fine settembre.

Sul futuro della provincia serba a maggioranza albanese l’Europa e’ alla ricerca una posizione comune. I Ventisette infatti hanno opinioni diverse, in particolare sull’ipotesi di una dichiarazione unilaterale di indipendenza di Pristina. Francia e Regno Unito sono considerati i piu’ favorevoli a un riconoscimento della sovranita’, Spagna, Grecia, Cipro, Ungheria, Slovacchia e Romania (geograficamente piu’ vicini alla Serbia o con problemi di minoranze interne) sono ritenuti invece su posizioni poco favorevoli.

L’ONU E’ L’UNICO AMBITO PER LA SOLUZIONE DELLO STATUS
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e’ il solo luogo dove si puo’ risolvere la questione dello statuto del Kosovo, la regione serba a maggioranza albanese. Lo ho detto il premier serbo Vojislav Kostunica, al termine di un incontro con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, Javier Solana.

”Noi riteniamo che l’Onu e il suo Consiglio di sicurezza siano le sole istituzioni in cui il problema del futuro status del Kosovo deve essere risolto”, ha detto Kostunica. ”Ogni altro atto sarebbe una sorta di violazione della legge internazionale”, ha aggiunto il premier serbo, mettendo in guardia contro l’ipotesi di una dichiarazione di indipendenza unilaterale da parte del Kosovo.

Kostunica ha assicurato che la Serbia ”non rappresenta una minaccia per nessuno” ed ha ribadito che un atto unilaterale rappresenterebbe al contrario una minaccia per la Serbia e per tutta la regione.

Quanto alle elezioni locali previste in Kosovo il 17 novembre prossimo, Kostunica ha confermato che i serbi kosovari ”non parteciperanno”.

”Su questo punto non siamo d’accordo”, ha commentato Solana: ”A nostro parere la partecipazione dei serbi a queste elezioni sarebbe interpretato come un buon segnale nell’ambito dei negoziati. Il governo serbo non e’ di questa opinione e noi rispettiamo questa opinione, anche se non la condividiamo”




Diplomazia italiana, quali meriti?

Certo che forse esiste una forte carica ironica nell’affermare che “D’Alema è un amico d’Israele e che capisce meglio di altri il Medio Oriente”.


Quindi la domanda che ci si pone è: “D’Alema è un agente del Mossad, inviato in missione in Libano a trattare con i terroristi, e le dichiarazioni a favore di Hamas fanno parte di un sottile gioco diplomatico per imbrigliare gli amici di Bin Laden e aprire contraddizioni atte a creare i presupposti per la pace in Medio Oriente, e dare la possibilità di vivere in pace e sicurezza allo Stato d’Israele e sviluppare la democrazia in quell’area?”
Se i nostri amici dimostrano quanto abbiamo appena affermato ci adeguiamo, anche se  con una certa perplessità, e diamo il benvenuto a Massimo D’Alema nel club degli uomini liberi che lottano contro il terrorismo e l’ingiustizia.
Però fino a quando ciò che è stato detto a favore di D’Alema non sarà dimostrato egli rimarrà il passeggiatore di Beirut a braccetto con i terroristi.

Gerusalemme, 7 settembre ’07

Il corrispondente
Germano Battilana




Battaglia di Lissa

Conferenza stampa pubblica a Chioggia
organizzata dai
"Giovani Veneti"

Corso del popolo 1193 (presso la sede del Comune)

Sabato 21 luglio ’07
Ore 11.00

Giovani Veneti

Battaglia di Lissa

“Un solo colpo dalle navi Austro-Veneto, colpisce la santa barbara dell’italiana “Palestro”. La nave in pochi drammatici momenti affonda portando con sé duecentocinquanta tra ufficiali e marinai. È a quel punto, raccontano le cronache, che dai petti degli equipaggi istro-veneti, si leva impetuoso e ripetuto il grido di “W SAN MARCO!”, ad affermare l’orgoglio di essere gli eredi degni di tante vittorie sotto il millenario gonfalone marciano, al quale dedicano la nuova impresa gloriosa.”


 

Conferenza stampa pubblica
a Chioggia

Corso del popolo 1193 (presso la sede del Comune)

Sabato 21 luglio ’07
Ore 11.00

Interverranno Luca Peroni e Andrea Viviani,  
protagonisti dei fatti di Piazza San Marco il 9 maggio 1997

 

Ricordiamo assieme la medaglia d’oro a Vincenzo Vianello di Pellestrina detto “El Graton”, timoniere della “Ferdinand Maximillian”, che speronò la “Re d’Italia”; e la medaglia d’oro concessa a Tommaso Penzo di Chioggia detto "Ociai".
Inoltre commemoriamo i marinai veneziani ai quali furono concesse ben 43 medaglie d’argento, quattro ai rodigini, sei a quelli di Udine.

Movimento Giovani Veneti

Sito: www.giovaniveneti.altervista.org
Forum: www.ventodelleone.netsons.org
Mail: giovaniveneti@altervista.org

Cell.: 333 2245483




Risposta ricevuta sulla shoah

Riportiamo, per opportuna conoscenza, una mail ricevuta dal nostro ufficio stampa sul dramma della Shoah. Ognuno può trarne le dovute considerazioni….

Da: N.H. Federico da Este  (federico@veneto.org)
A: pepiva@libero.it Cc:
Oggetto: Re: Il_dramma_della_Shoah_è_ancora_attuale Ricevuto il: 17/04/07 09:50
 
Senti ke mmmm….rda!!!
‘inchuina le proprie bandiere’!! bastardo giudeo seraljia….
oh: e ke pensare invese dei NetureiKarta ke, ebrei ultraortodosi: non solo i xe contro l’esistenza dello stato d’Israele, che è ‘contro’ il volere di Dio: cosa blasfema, non voluta da Dio. Ma addirittura, i xe nà in Iran da Ahmadinejiad, alla conferenza ke nega l’Olocausto!!
Ke forti ‘sti ebrei!! Massimo rispetto per loro!!!