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Perché parlare della battaglia di Little Big Horn?

La vera storia di Little Big Horn.

 

Perché è sintomatico rispetto all’atteggiamento che il popolo deve tenere quando è minacciato da forze esterne, e la sua cultura e metodo di vita sono in pericolo.
È evidente che i popoli autoctoni delle “Americhe” avevano una concezione del mondo completante diversa dagli occupanti.
Non dobbiamo dimenticare che al di là della mitologia la partita si giocò tra una civiltà rozza (dei più disperati ceti sociali e dalle differenti etnie) ma industrialmente potente, contro una cultura raffinata, millenaria e tuttavia primitiva per precise scelte di vita: il nomadismo nel contatto diretto con la natura.
L’ultimo crimine è stato decretato da Abramo Lincon quando promulgò l’Hamestead Act, che significava per chi aveva partecipato alla guerra di “secessione”, il diritto di richiedere terre nel West pagando un’esigua tassa di registrazione. È singolare che questa guerra fatta per “riscattare” i neri d’Africa deportati nelle “Americhe”, finiva per condannare gli abitanti di quella terra.
I Dakota, i Cheyenne, gli Arapaho, i Piedi Neri, i Sioux al pari degli altri nomadi, non avendo il concetto di proprietà nel senso occidentale del termine, non capivano neanche quale fosse l’oggetto del contendere.
Per gli “Indiani” esisteva il possesso di un cavallo, di un fucile, di una coperta, ma non la proprietà privata. La terra non poteva essere divisa o recintata perché la terra era di tutti. Sulla terra si muovevano i bisonti che davano “all’indiano” tutto il necessario per vivere. Le mandrie di bisonti erano il valore che determinava la scaramucce cruente tra le varie “tribù”, mai la terra.
Per difendere questi loro valori, senza i quali essi non potevano sopravvivere, hanno, inoltre, deciso di impedire l’occupazione della sacra zona delle Black Hills (terra che rappresentava per “gli indiani” quello che rappresenta Roma per i cattolici, Gerusalemme per gli ebrei, e la Mecca per i mussulmani).
Queste sono le sommarie premesse in cui si deve inquadrare lo scontro tra le “tribù” unite sotto la guida di Toro Seduto, Cavalo Pazzo e il 7° cavalleria agli ordini del tenente colonnello Custer (questo personaggio megalomane, privo di qualsiasi capacità militare, che si è macchiato di orrendi crimini contro donne, bambini, vecchi, comunque gente indifesa). Non va dimenticato che prima dello scontro a Little Big Horn, Custer, per non farsi riconoscere si è fatto tagliare i lunghi capelli dal trombettiere del settimo, il garibaldino Giovanni Martino. Giovanni Martino, Rospo Cornuto, Gallo Screziato e il cavallo Comanche furono gli unici sopravissuti del settimo. Custer ha fatto indossare la sua giacca di pelle e la parrucca a suo fratello, mentre “l’eroe” ha indossato una blusa qualsiasi.
Questo scontro appartiene ai popoli che lottano per la loro libertà e la difesa della propria terra, e deve costituire un insegnamento non solo per i movimenti indipendentisti, ma per tutte quelle forze che si richiamano al federalismo e all’autonomismo.
A tutti quelli che credono che il potere sia ragionevole e possa elargire riforme nell’interesse dei popoli, vogliamo ricordare che tra gli “indiani” e il Padre Bianco sono stati stipulati più di 40 trattati che i visi pallidi non hanno mai rispettato.
Il popolo non è certo attraverso gli strumenti che il potere gli mette a disposizione (vedi le elezioni) che potrà raggiungere il suo libero arbitrio.
Il Popolo  deve comprendere che soltanto se recupera la sua dignità, le sue tradizioni, l’amore di se stesso, l’amore per la propria terra potrà avere un futuro per sé e per la sua gente e saprà ergersi in maniera invincibile conto il più potente dei nemici e dei traditori.

Germano Battilana



Dobbiamo fare i conti con un territorio che non è infinito

…Il Veneto è diventato emblema di cementificazione, produzione e consumo, le quali, esasperate all’eccesso stanno avendo un effetto boomerang seminando la distruzione nel nostro ambiente…

Dobbiamo fare i conti con un territorio che non è infinito!
Il Veneto è diventato emblema di cementificazione, produzione e consumo, le quali, esasperate all’eccesso stanno avendo un effetto boomerang seminando la distruzione nel nostro ambiente. L’aumento delle cementazioni oggi ha una velocità esponenziale sul nostro territorio; quindi verrà un giorno in cui saremo costretti a fermarci, perché non ci sarà più terra. Le istituzioni saranno costrette a fare i conti con tutto questo. Sarà necessario avere una pianificazione che non consenti ulteriori danni sul territorio, così avremo modo di coabitare almeno con quel poco verde rimasto.
Il gran nodo da sciogliere sarà non avere uno sviluppo che degradi l’ambiente, ma nel contempo essere occupati. Questo sarà possibile se considereremo uno sviluppo intellettuale, culturale e quindi che non produca ricchezza materiale; questo è logico e molto semplice, ma è anche rivoluzionario. Può anche essere utopia, perché le grandi lobbies e le grandi multinazionali sono così potenti che non permetteranno che questo succeda; esse non farebbero più i loro interessi economici. Ma deve arrivare l’ora che questo modo di concepire il vivere moderno sia messo seriamente in discussione. La grande massa sarà sempre in balia dello strapotere economico? I politici continuano a tenere prioritari nei loro discorsi, senza scostarsi di un millimetro, l’economia e lo sviluppo. È noto che il politico, a grandi linee è demagogo e incantatore.
Oltre ad avere queste doti ha anche due spesse fette di lardo sugli occhi, e non è in grado di vedere che sta mandando in rovina l’habitat dell’uomo; fino a prova contraria anche loro sono uomini, e quindi si danno la zappa anche sui loro stessi piedi. Loro si ergono a salvatori di patrie, e non ci vedono più in là di una spanna dal loro naso, stanno pilotando l’uomo verso l’ingolfamento totale.
Sviluppo e progresso, fino a che punto sono da considerarsi tali? Un individuo che valuta lo sviluppo moderno con diffidenza è considerato non al passo con i tempi? Quel tal individuo sta fiutando il grave pericolo che stiamo correndo. Un pericolo col sicuro biglietto di andata e però con un incertissimo biglietto di ritorno, e se ci sarà verrà a costarci molto caro. Non si ha il coraggio di contrastare lo sviluppo e il progresso moderni, perché si è tacciati di non essere al passo coi tempi; è un gravissimo errore in cui non bisogna cadere. È questo sviluppo?
L’ingolfamento dell’habitat dell’uomo è progresso? Sarà necessario riconsiderare lo sviluppo e il progresso moderni. Questo non sarà possibile fintanto che la gente non sarà messa in condizione di capire il pericolo che c’è nell’ambiente in cui vive. Questo è il punto; un uomo non è libero quanto sente la pubblicità moderna consumistica, distruttiva, a senso unico. È chiaro che l’odore del regime è irrespirabile!
La pubblicità è l’anima del progresso! È davvero progresso quello che abbiamo? La chiave di volta sarà proprio adoperare nel modo giusto la pubblicità, sovvertendo tutto quello che essa stessa fino ad ora ha prodotto.
La pubblicità posta nei termini contemporanei sta incrementando l’ingolfamento dell’habitat dell’uomo, sia materialmente che intellettualmente. La grande sfida è capire che sarà necessario adoperare lo stesso mezzo, appunto la pubblicità, per avere un progresso meno materiale e più intellettuale, visto che questo mezzo è inconfutabilmente riconosciuto come lo strumento di gran lunga superiore per arrivare ad un obbiettivo. Per fare questo ci vogliono investimenti; questi investimenti daranno un frutto molto superiore a un mero guadagno materiale. Saranno frutti fondamentali e sicuramente daranno la possibilità all’uomo di continuare la vita. Bisognerà capire che la ricchezza materiale moderna ingolfa il sistema. Un dato è oggettivo: il territorio non è infinito!
Verrà un momento in cui bisognerà ragionare seriamente; quanto tempo ancora continueremo così, senza invertire la rotta?
Cosa stanno a fare sulle sedie del potere e delle istituzioni i politici? È certo che si guarderanno bene prima di esprimere certe idee, perché sono certamente rivoluzionarie; e quindi visto che loro hanno occupato quelle sedie solo per i soldi e il potere, non scenderanno mai così in basso ad adoperare il loro cervello, questa volta finalmente, per cercare di ottenere il bene dell’uomo.

Tullio Ceccato



Marxismo e questione nazionale

Studio di Germano Battilana

In quest’articolo non ritengo di dover evincere gli obbiettivi attraverso trame, tensioni o sollecitazioni, e dare spazio ad una tensione speculativa; ma non voglio nascondere l’obbiettivo, il quale è esplicito: affermare che non esiste contraddizione tra marxismo e libertà nazionale.
Questo pensiero deve essere frutto di un’analisi attraverso il socialismo scientifico.
Direi che tutto il percorso del Pensiero marxista-leninista dal punto di vista teorico è l’affermazione che esiste una stretta correlazione tra la lotta del proletariato e la libertà nazionale, e che questo non è in contraddizione con i principi dell’internazionalismo.
È sperabile che questo dilemma possa diventare elemento di dibattito per un superamento degli antagonismi, e comprendere che nessuno che si ponga il problema dell’emancipazione del popolo pensi di poterla ottenere in un clima di oppressione nazionale.
Non è un caso che lo stesso Marx si sia schierato a favore dell’indipendenza dell’Irlanda all’interno del dibattito (con gli anarchici della prima internazionale) sul federalismo rinunciando alle sue precedenti considerazioni. Lo stesso Lenin ha preso senza tentennamenti posizione sul problema dell’autodeterminazione della Norvegia nei confronti della Svezia, in contraddizione di Rosa Luxemburg, di Martov e della maggioranza della seconda internazionale.
D’altronde le tesi di Aprile del 1917 del Partito Operaio Socialdemocratico (bolscevico) affermano:
a)      riconoscimento per i popoli del diritto alla separazione;
b)      autonomia regionale per i popoli che restano entro confini di un determinato Stato;
c)      leggi speciali che garantiscono il libero sviluppo delle minoranze nazionali;
d)      per i proletari di tutte le nazionalità di un determinato Stato, un’unica collettività proletaria inscindibile, un unico partito.
Le tesi di Aprile, sovra citate, hanno sancito in maniera inequivocabile il principio di autodeterminazione, e le vicende successive della Finlandia e della Polonia ne hanno dimostrato la consequenzialità.
D’altronde da un punto di vista scientifico si tratta di dare una risposta: la rivoluzione socialista si può attuare in un solo paese, o come disse Trotskij questa può avvenire solo all’interno dell’arena rivoluzionaria mondiale? Questa teoria trotzkista va contro le basi fondamentali del marxismo che vedono nel materialismo storico e nel materialismo dialettico lo strumento fondamentale di analisi per comprendere lo sviluppo della lotta dei popoli. L’uno si divide in due, e si unisce in uno, e si divide in due, ecc.
Altre considerazioni inevitabilmente scadono in un gradualismo metafisico e in un idealismo antistorico.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutte queste considerazioni sono rivolte ad un passato non molto vicino. Ma allora cosa si può dire della lotta di liberazione del Chapas, di Timor Est, e di altre situazioni analoghe. Tutto questo non avviene solo nei paesi del terzo mondo ma anche all’interno della stessa Europa (Euskadi, Catalogna, Scozia, Irlanda, Veneto, Valle d’Aosta), del Canada (Quebec), ed dell’Australia (Maori), e gli Indiani d’America. Questi popoli hanno o non hanno un problema nazionale?
Le forze popolari devono o non devono fare una scelta di campo: o colle multinazionali, che tendono ad opprimere il popolo e le sue espressioni produttive, o con le nazioni ed i popoli oppressi. Questo può avvenire a prescindere dalle eventuali impostazioni regressive e reazionarie della piccola e media borghesia nazionale. Il problema è un altro, cioè la capacità di incidere delle forze in campo e di dirigere il processo indipendentista. Questa è la linea di demarcazione. L’altro problema è il mantenimento della propria autonomia, quindi non unità ma alleanza.
Sta alle forze rivoluzionarie sciogliere il dilemma: stare con il centralismo romano o con il Popolo Veneto e il suo inalienabile diritto alla Libertà Nazionale.

 

Germano Battilana