Comunicati Rassegna Stampa

Israele: "Gaza è un'entità nemica"

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editoriali e analisi

Testata:Il Giornale – Libero – Corriere della Sera – Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein – Angelo Pezzana – Benny Morris – la redazione
Titolo: «Israele sigilla Gaza: E’ un’entità nemica – La mossa di Olmert bastonare la Striscia perché l’iran intenda – «Intollerabile vivere sotto la minaccia dei razzi» – Liberare Gaza»

 

 

Pubblichiamo alcuni editoriali sulla decisione di Israele di definire  Gaza, sotto il controllo di Hamas,  "Entità nemica" e di sospendere gradualmente forniture elttriche e di carburante.

L’editoriale di Fiamma Nirenstein dal GIORNALE (pagina 1 e 13)

Gerusalemme – «Un’entità nemica»: così il governo israeliano ha proclamato ieri la Striscia di Gaza, passata dopo una sanguinosa lotta con Fatah sotto il controllo di Hamas, e sgomberata da Israele nell’agosto del 2005. La scelta dell’esecutivo del premier Ehud Olmert è stata raggiunta al termine di lunghe discussioni sulla base di una proposta del ministro della Difesa, l’ex premier Ehud Barak, e viene spiegata così: «Hamas è un’organizzazione terroristica che ha preso il controllo della Striscia di Gaza, che si è trasformata in territorio ostile… Il movimento estremista ha la responsabilità per questa attività… si è dunque stabilito di adottare le raccomandazioni dei responsabili della sicurezza, incluse la continuazione delle operazioni militari e antiterroristiche».

Ma il governo israeliano promette anche misure completamente nuove, come quelle del restringimento del passaggio di vari beni, la riduzione del rifornimento di benzina e di elettricità. La formulazione resta ambigua, per cui non sembra imminente, per esempio, il taglio della luce elettrica o dei medicinali. Non dice quando il blocco entrerà in vigore e, anzi, promette di tenere conto degli aspetti umanitari. Tuttavia, la svolta c’è stata e Israele è adesso intento a valutarne le implicazioni legali e internazionali; Hamas reagisce irritata, affermando che riterrà Israele responsabile di tutto quello che potrà derivare da questa scelta che, annuncia il partito integralista palestinese, equivale a «una dichiarazione di guerra», alla quale promette di rispondere. Hamas cercherà comunque appoggio internazionale per evitare che Israele proceda nella sua decisione. Anche il presidente palestinese Abu Mazen, avversario di Hamas, condanna la scelta di Olmert. E preoccupato si è detto il segretario generale dell’Onu, il sudcoreano Ban Ki-moon.

«Purtroppo – dice il ministro degli Interni israeliano Avi Dichter – i palestinesi si rifiutano di prendere atto che l’occupazione di Gaza è terminata da due anni e, nonostante ciò, noi restiamo l’obiettivo dei loro missili Kassam e dei loro attentati. Ecco cosa riceviamo in cambio di denaro, luce, benzina e assistenza medica». Il segretario di Stato americano, la signora Condoleezza Rice, giunta ieri a Gerusalemme, ha detto ieri al ministro degli Esteri israeliano, la signora Tzipi Livni, che «anche per noi Hamas è un’entità nemica». E lo ha ribadito nell’incontro che ha avuto poi con Barak.

Da LIBERO a pagina 19, il commento di Angelo Pezzana

Se Hamas è un movimento terrorista, da ieri Gaza è una “ entità ostile”. Questa la decisione presa  nel gabinetto di sicurezza guidato da Olmert e Barak. Una definizione che sottintende un combiamento della politica del governo israeliano, che nei confronti di Gaza non sarà più la stessa. Non è una dichiarazione di guerra, beninteso,  quella che è stata subito definita “ ambiguità vigorosa”, che tradotto vuol dire basta con la carota, adesso arriva il bastone. Il paese se lo aspettava, dopo il ferimento di 69 soldati nella base militare nel Negev, le parole di condanna non bastavano più. Avere ai confini una “entità ostile” presuppone quindi l’uso di tecniche di difesa più approppriate. Ci saranno sanzioni che verranno ancora  chiamate amministrative, quali il taglio della corrente elettrica e dei rifornimenti di benzina, come era già avvenuto giorni fa senza che la cosa avesse destato particolari proteste in campo internazionale, anche se, come ha raccomandato Avi Dichter, capo della sicurezza interna,  cibo e medicinali continueranno ad avere via libera. E’ quindi un cambiamento di rotta, che però va incontro ad interessi non solo israeliani. Condi Rice è arrivata nella regione  per preparare il summit di novembre a Washington, nel quale sembra riporre speranza e fiducia soprattutto la sola America. Olmert, sin dall’inizio dei colloqui, ha tenuto un basso profilo,  ben sapendo che Abu Mazen si regge non certo per forza propria e quindi è un interlocutore che rappresenta i palestinesi solo in parte, mentre quest’ultimo, man mano che passano i giorni, gioca al rialzo per motivi di politica interna. La pace e il compromesso sono una bella cosa, magari ci crede pure, ma di fronte ai suoi deve fare bella figura, altrimenti perde la faccia.  Anche Olmert non sta meglio, pressato com’è dall’opposizione che fa la voce grossa a difesa delle popolazioni del sud colpite senza sosta dai missili Kassam di provenienza Gaza. E poi c’è il fattore Siria, che si scrive Siria ma si legge Iran, che preoccupa tutti quanti, compresi i regimi arabi islamici moderati della regione. Anche se nessuno se ne è assunta chiaramente la responsabilità, è un fatto che Israele ha mandato all’aria i sogni atomici di Assad con qualche lancio ben mirato il 6 settembre, una data che verrà ricordata. Israele non aveva interesse a ventarsene, e la Siria ad ammettere lo smacco. Ma quanto avvenuto è stato un avvertimento all’Iran, che manovra i fili di tutto il terrorismo nella regione. Hamas, che Ahmadinejad nutre amorevolmente, è avvertito. Israele comincia a fare la voce grossa. Non tenerne conto sarebbe per lo meno imprudente. Anche per un gruppo terrorista.

Il commento di Benny Morris dal CORRIERE della SERA (pagina 3)

«Era ora!». È stata questa la reazione della maggior parte degli israeliani alla decisione del governo di imporre sanzioni economiche a Gaza, se altri missili Qassam verranno lanciati dal territorio controllato da Hamas contro Israele. Il governo israeliano ha minacciato in particolare di tagliare l’elettricità agli abitanti della Striscia e sta considerando l’eventualità di bloccare successivamente anche i rifornimenti di combustibile.
Un certo numero di organizzazioni terroristiche — Hamas, la Jihad islamica e le Brigate dei martiri di Al-Aksa, collegate a Fatah — si è reso responsabile del lancio dei missili Qassam contro le colonie ebraiche di confine sin dalla fine del 2001. La cittadina di Sderot è stata colpita da questi lanci per la prima volta nel marzo del 2002. I razzi finora hanno causato scarsi danni e fatto relativamente poche vittime: sino ad oggi si sono contati oltre 1000 missili, che hanno provocato la morte di una dozzina di israeliani e il ferimento di diverse decine. Tuttavia, questa pioggia di razzi ha diffuso il panico a Sderot e molte famiglie hanno preferito abbandonare la zona, quando persino l’intervento dell’esercito israeliano— con lo spiegamento di vari mezzi, tra cui le incursi
oni di corazzati nei territori palestinesi e attacchi missilistici da elicotteri contro le basi di lancio — si è rivelato impotente a fermare gli assalitori.
Nell’estate del 2005, il premier Ariel Sharon decise il ritiro unilaterale dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza, smantellando tutti gli insediamenti dei coloni, e lasciando il territorio completamente in mano palestinese, con l’eccezione degli attraversamenti di frontiera. La leadership sperava in tal modo di metter fine alle azioni terroristiche contro Israele. Ma è accaduto il contrario e il numero e la varietà di missili che oggi bersagliano Israele non hanno fatto altro che aumentare. La settimana scorsa, un missile ha centrato un campo mobile di addestramento dell’esercito, facendo una cinquantina di feriti tra i soldati.
La decisione presa ieri dal governo è stata la risposta alle pressioni dell’opinione pubblica. Il primo ministro Ehud Olmert e il suo governo sperano che il taglio progressivo delle forniture elettriche — Israele fornisce alla Striscia 120 dei suoi 200 megawatt di consumo (il resto proviene dall’Egitto e da una centrale di proprietà araba nella Striscia) — farà aumentare la pressione popolare su Hamas per mettere fine al lancio dei missili, che rappresenta un gesto intollerabile, sia sul piano simbolico che pratico, per la maggioranza degli israeliani.
Gli islamisti di Hamas, che invocano la distruzione di Israele e la creazione di uno Stato arabo basato sulla sharia in Palestina, hanno preso il controllo della Striscia, sbaragliando brutalmente le forze dell’Autorità palestinese guidate da Fatah, nel giugno scorso (2007). Da allora, Hamas ha consentito alla Jihad islamica e altri gruppi di continuare l’aggressione missilistica contro Israele, mentre Hamas stesso li rifornisce di Qassam quando le scorte si riducono. Si dice che gli ingegneri di Hamas siano al lavoro per realizzare missili dotati di maggior gittata e testate più potenti.
Il taglio dell’elettricità deciso da Israele assicurerà comunque alla Striscia l’operatività di tutti i servizi essenziali — ospedali, uffici amministrativi, ecc.— ma indubbiamente causerà interruzioni periodiche di corrente a gran parte del milione e mezzo di abitanti. Se in seguito si ricorrerà anche al taglio delle forniture di carburanti — gli avvocati del governo in Israele stanno valutando questa possibilità alla luce della legislazione internazionale umanitaria — le conseguenze potrebbero essere ancor più gravi. Ma queste sono le rappresaglie minacciate da Israele, se i terroristi palestinesi continueranno a scagliare missili contro gli insediamenti di confine israeliani.

Dal FOGLIO , l’editoriale a pagina 3:

Dalla striscia di Gaza, sottoposta alla dittatura illegale dei fondamentalisti di Hamas, continuano a piovere missilisi sul territorio israeliano, che la settimana scorsa hanno anche provocato il ferimento di una settantina di soldati. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, sul quale si esercita una forte pressione perché proceda a operazioni militari su vasta scala nella Striscia, ha invece proposto al gabinetto di guerra, che l’ha approvato all’unanimità, un piano di restrizioni dei rifornimenti energetici e di chiusura dei valichi nei confronti di quella che viene definita una “entità ostile”. Barak è il leader laburista che a Camp David offrì a Yasser Arafat una restituzione dei territori occupati che comprendeva persino una parte di Gerusalemme. L’incredibile rifiuto di quella proposta, giudicata esageratamente generosa in Israele, portò alla crisi del processo di pace, all’avvio della rovinosa seconda Intifada, alla cui cessazione Hamas si oppone con le armi e con il colpo di stato di Gaza. La sua decisione attuale va valutata come l’estremo tentativo di evitare una nuova invasione della Striscia, che provocherebbe alla popolazione civile palestinese ostaggio di Hamas danni e lutti assai più consistenti di quelli che patirà per le restrizioni di forniture. Condoleeza Rice, condividendo il giudizio su Hamas come entità ostile, ha dichiarato che l’America non intende “abbandonare i palestinesi innocenti di Gaza”.
Molto dipende dalla capacità dell’opposizione democratica – che a Gaza si confronta, anche con manifestazioni di piazza e preghiere per le strade (proibite da Hamas), con la dittatura estremista – di ottenere qualche successo. La prudenza di Israele, condivisa da Barak e da Ehud Olmert, la sua scelta di non imboccare la via delle operazioni militari di terra, non può reggere a lungo se i suoi villaggi di confine e le sue caserme continueranno a essere bersaglio dei razzi Qassam lanciati dalla Striscia con gli applausi di Hamas e dei suoi sostenitori iraniani.