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QUANTO IL VENETO INCIDE SUL PORTOGHESE BRASILIANO

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http://www.regione.veneto.it/Venetinelmondo/NewsView.aspx?idNews=273

Parole, parole, parole… le parole seguono l’uomo da sempre, lo accompagnano lungo l’arco dell’esistenza, e, ovunque lui vada, loro rimangono lì, al suo fianco, prime interlocutrici di se stesso, pronte, in ogni quando, in ogni dove, a ricordargli le proprie origini. È appunto la lingua, infatti, che le definisce, che dà loro un’appartenenza, un luogo dove poter essere e un senso a tale essenza.

È così che, se l’uomo migra verso lidi remoti, magari esotici, forse irraggiungibili, anche le parole affronteranno lo stesso viaggio. Allo stesso modo, un individuo, attraverso nuove esperienze, insolite realtà, spesso estremamente opposte alle proprie, subirà senz’altro notevoli modifiche, naturali e spontanee, rispetto alla sua base originale. Anche le parole, poi, assorbiranno altrettanti profondi cambiamenti. La lingua, insomma, è viva come chi le dà concretezza, e quindi in continua evoluzione, in costante metamorfosi.
Provo a figurarmi quando i primi emigrati, giunti a destinazione, non riuscivano a comunicare con gli abitanti indigeni. Agli esordi, rappresentano due mondi linguistici differenti, due alfabeti, due comunicazioni assolutamente distanti, ma entrambe essenziali per la popolazione che ne fa uso. Poi, lentamente, si modificano alcune intonazioni, si accenna un suono, si pronuncia una parola, si ripetono un paio di espressioni inconsuete, e infine ci si ritrova a comporre intere frasi. Successivamente, con il passare degli anni, dei decenni, delle generazioni, la lingua intrinseca di un determinato popolo sparisce, per lasciare logico spazio a quella della terra di approdo. Così è sempre successo anche con i veneti e con il Veneto.
Tuttavia, esiste un luogo particolare, direi speciale, dove il veneto è comunque riuscito a mantenersi integro, a farsi ricordare, in modalità a volte più deboli, altre più intense, ma piuttosto tangibili e importanti. Si annoverano innumerevoli località a sud del Brasile dove ancora è sovente incontrare parecchi discendenti di emigrati, magari della terza o quarta generazione, della fascia di età dai cinquanta ai settant’anni, che riportano ricette, racconti, proverbi, canzoni oriunde. I temi sono quelli classici del focolare domestico, dello stile di vita, del lavoro: esempi come “fortaia”, “radici”, “piron”, piuttosto che “toseta”, canzoni sulla guerra o quella della polenta, sono queste le maggiori testimonianze che si riscontrano. Ho persino registrato una signora che tuttora parla in veronese, magari con accento brasiliano, ma con lessico completamente nostrano.
Ciononostante, il discorso non si conclude qui. Anzi, il veneto non si è limitato a lasciare pochi, seppur ancora vivi, strascichi del proprio gergo, in segno del ricordo del passato, ma va ben oltre, donando molteplici terminologie che sono state digerite e assorbite all’interno dell’attuale struttura linguistica portoghese.
In questo mio costante lavoro di ricerca e analisi, riscontro, dal punto di vista semantico, delle affinità lessicali davvero interessanti, soprattutto estese al segmento portoghese di variante brasiliana. Si contano, infatti, svariati esempi di sostantivi e verbi, oltre che di aggettivi e preposizioni, che ricalcano fedelmente la struttura autoctona. Si tratta dei cosiddetti calchi semantici, ovvero termini di una data lingua di partenza che vengono trapiantati, trasposti in un’altra così come sono, modificandosi solo nelle varianti fonologiche e quindi ortografiche della lingua di arrivo.
L’aspetto singolare consiste nell’osservare questo studio dal punto di vista del veneto, anziché dell’italiano. Prendendo in esame alcuni vocaboli appartenenti ai settori più comuni e generici, si scoprono curiose provenienze terminologiche in ambito domestico, sulla cucina piuttosto che sull’abbigliamento, riferimenti agli oggetti e alle azioni della vita di tutti i giorni, sulle parti del corpo e sugli animali, e molte referenza alla quotidianità.
In concreto, se nel portoghese continentale “tazzina da caffè” è “chavena”, nella variante brasiliana diventa “chícara”, ossia la trascrizione fonetica del nostro “cicara”. Il “culher” è il “cucchiaio”, ossia, lo “scugliero”, per i padovani. Tra la frutta possiamo scegliere tra il “pêssego”, cioè la “pesca”, o “persego” per noi, o la “cereja”, cioè ciliegia, oppure “sareza”, in veneto. Una porzione di un pasto, una razione in un pentolino, alcuni muratori padovani la chiamano “marmita”, come nel portoghese attuale, lemma tuttora comprensivo nei dizionari come seconda accezione con significato di pentola, ma in disuso. Altri riferimenti culinari vengono estrapolati da molteplici e ovvie combinazioni di origine sicuramente religiosa, come “banho-maria”, il nostro omonimo modo di lasciare in ammollo alcuni cibi prima di passare alla loro preparazione. O la “barrigas-de-freira”, letteralmente la “pance-di-suora”, un delizioso dolce tipo budino.

E, parlando proprio di parti del corpo, “barriga” è pancia, ma “pança” esiste, certo, ed è una pancia un po’ tondetta… Poi, udite udite… il “tallone”, in brasiliano è “calcanhar”, eh sì, proprio uguale al nostro “calcagno”… Un “dito”, ossia in veneto un “deo”, è un “dedo” in questa lingua…
In casa non può mancare una “cadeira”, ossia la sedia, che alla nostrana si traduce con “carega”, e, per sedersi sopra, si dice “sentarse: sentarse na cadeira”, assomiglia di più, secondo voi, a “sentarse nea carega” o a “sedersi nella sedia” in italiano? Alcuni anziani, più che altro veronesi e bellunesi, per dire “la ruota della macchina”, dicono ancora “a roda dea carretta”, che è, in portoghese, “a roda do carro”… evidentemente perché la macchina è, storicamente, l’evoluzione del carro, appunto quello trascinato dagli animali. Altri oggetti comuni e personali sono l’“orologio”, tradotto in veneto con “reoio”, e in portoghese con “relojo”… per noi “a toaia” è molto simile al corrispondente “la tovaglia”, ma davvero identica a “a toalha”. Un gioco veneto è un “zugo”, simile a un “jogo”, che segue la stessa struttura della prima persona singolare del verbo “jogar”. E per quanto concerne gli animali? Diciamo che sono rimasti alcuni nomi che vengono impiegati in veneto e che in italiano possiedono una determinata specificità o acquisiscono un senso figurato. È così che “mucca” diventa in portoghese “vaca”, mentre per noi rimane con accezione di “mucca che ha già figliato” o con valore  volgare di “donna molto grassa” sennonché “prostituta”. Il suo maschile, ossia il “bue”, è “boi”, proprio come lo dicono i padovani. Idem per “maiale”, in portoghese “porco”. In questo caso, italiano e portoghese mantengono per questa dicitura anche il valore familiare di “persona poco pulita” o che si comporta in modo comunque &l
dquo;immorale”, compiendo o dicendo cose scurrili. Da qui senz’altro la locuzione “Qué porcaria!” O, “esta sopa è uma porcaria!”
Alcuni pronomi soggetto, nello specifico “lei” e “lui”, si traducono con “ela” e “ele”, e nella zona tra Vicenza e Verona dicono “ela” e “elo”. Per te… è “par ti”  in veneto e “para ti” in portoghese…
Anche i verbi formano parte essenziale della comunicazione e sembrano dimostrare legami davvero indissolubili tra portoghese e veneto, indicando un ennesimo importante segnale di interazione sociolinguistica. Un caso particolare di utilizzo, valido per il sud del Brasile, è l’ironico modo di dire “te copo”, dall’omonimo “te copo”, ossia “ti uccido”. Dico solo a sud, in particolare a sud di Santa Catarina, perché in altre zone, seppure di forte migrazione, questa formula è sconosciuta, e tale verbo esiste solo con valore di “tagliare, tosare”. “Bater”, invece, significa “picchiare”, ed è così che “te bato”, nel senso di “ti picchio”, coincide esattamente con “te bato” nostrano. Il verbo “catar” vuol dire proprio “andare in cerca, frugare per trovare”, proprio come si va a “catare i radici”, ossia trovare per raccogliere il radicchio sui campi, espressione conosciuta anche laggiù. Da qui nasce la l’associazione “cata-festas”, ossia una specie di “scova-feste”, una persona che sa sempre tutto sulle ultime feste in città. Anche “cavar”, ossia “togliere”, rimane con questo significato specialistico di “scavare un terreno” e “zappare”, oppure di “incavare” le maniche di una maglia, azioni comunque che tolgono qualcosa da un materiale primitivo, terra o stoffa che sia. “Aggiungere legna nel fuoco”, diventa per noi “zontar legna nel fogo”, molto simile, per non dire identico, al portoghese “juntar lenha no fogo”, dove, infatti, “juntar” è uguale a “zontar” e non ad “aggiungere”. “Sono bagnato” in veneto è “so mojo”, e si traduce con “estou molhado”. Ci sono poi svariati verbi che in alcune persone o in certi tempi verbali ricalcano perfettamente la struttura nostrana: la terminazione in -g della prima persona singolare come nel suddetto “jogo”. Altri calchi della prima persona singolare che mantengono identica struttura fonetica sono: “venho”, da io “vengo”, è simile al veneto “vegno”. “Faço”, in veneto “fasso” e in italiano “faccio”, “forço”, “sforso” in veneto e “forzo” in italiano. La prima persona plurale del verbo potere in portoghese è “podemos”, uguale al corrispondente “podemo”. Stesso discorso per il condizionale “poderia”, per noi “podaria”. Molti altri tempi condizionali si rispecchiano nella forma: “ela seria”, è quasi “ela saria” in veneto, e ben diverso da “lei sarebbe”. Stessa cosa per il verbo fare, con il portoghese “faria”, identico al gergo nostrano. E così via per “dormiria”, “correria”, ecc. Ultima nota va per il verbo “dovere”, che per noi è composto dalla locuzione verbale del verbo “avere” più la preposizione “da”, ossia “devo” si traduce con “go da”. Ecco, simile struttura viene seguita dal portoghese, dove “tenho” arriva dal verbo “avere” e “que” corrisponde alla preposizione introduttiva veneta.

Infine, ci sono alcune buone frasi generiche, che non sono da meno. Il “rovescio della medaglia” si traduce in portoghese con il “reverso da medalha”, non vi ricorda per caso il “roverso dea medaia”? Oppure “fora da cá”! Assomiglia a “fora da qua”? Più simile senz’altro all’italiano “fuori di qui”. “Nell’angolo”, per noi è “nel canton”, ricorda senz’altro il portoghese “no canto”. In italiano è rimasta solo la formula “dal canto suo, d’altro canto”, riducendo quindi il suo significato da concreto spaziale a figurato. “Vou com pressa”, ha qualcosa del nostro “vao de presa”, più che “vado di fretta”? “Un po’ troppo”, per noi è “un poco massa”, e in brasiliano “um pouco demais”… “Tudo bem”? È in veneto “tuto ben”? O in italiano “tutto bene”? Bene sì, visto che magari qualche sorriso lo avrete abbozzato…
Sicuramente la terra brasiliana ha assorbito contrasti quantitativamente e qualitativamente immensi e devastanti dalle popolazioni europee, rimanendo profondamente segnata, dal punto di vista socioculturale, e persino linguistico, da molte di loro. L’influenza oriunda è senza sorta di dubbio tra quelle che hanno trasmesso un consistente input. Ciò che ora fa riflettere è pensare alla forza con cui una regione così piccola abbia potuto trasmettere tanto e addirittura mantenerlo costante nel tempo fino a renderlo intramontabile, in qualche modo eterno. Deve essere stata una grandiosa migrazione, la nostra, non solo per le modalità, le dosi, ma anche per come ci siamo preposti e posti su essa. Il mosaico del territorio, della cultura e quindi della lingua brasiliana possiede senz’altro più di un tassello dalla denominazione veneta doc, senza la quale questo bellissimo ed emozionante quadro non sarebbe completo e non potrebbe essere così armoniosamente etnico, così etnicamente piacevole a gustarsi.

dott.ssa Giorgia Miazzo
giorgiamiazzo@gmail.com