Comunicati Rassegna Stampa

La Serenissima e le punizioni per gli argini

image_pdfimage_print

Passata l’emozione per i tanti disastri che hanno sconvolto il nostro territorio per l’esondazione di fiumi, si sta mettendo in moto la macchina della giustizia per verificare se esistano responsabilità da omissione. Omissione di preallarme nell’immediato, ma poi occorrerà risalire a monte della catena, verificare se esistano violazioni del dovere d’ufficio; omissione di interventi che, secondo ragionevole prevedibilità, sarebbero stati idonei a scongiurarli quei disastri. E la giustizia penale farà il suo corso. Il nostro attuale Veneto è quello di sempre: una pianura piatta e bassa, sempre in guerra con i suoi fiumi. Parlando di giustizia penale potrebbe essere interessante verificare come quella guerra sia stata combattuta dei nostri Padri. E lo fu con leggi severissime. Ecco l’estratto di due, intitolate «in materia di romper arzeri». Una prima del Consiglio dei Dieci dell’ 8 Novembre del 1501, accertato che «alcuni si fanno lecito romper e spianar e tagliargli arzeri del novo alveo della Brenta con danno della Signoria Nostra, al qual inconveniente essendo necessario provveder», resta stabilito che «se alcuna persona averà ardimento de romper, spianar, bassar, over tagliar detti arzeri nostri, s’intendi immediate esser incorso in irremissibil pena d’essergli tagliata lamandestra et cavato un’occhio». Mezzo secolo dopo il Senato, con legge del 24 agosto 1568, torna sul tema, imponendo «a cadaun delli Rettori delle Città, Terre e Luoghi Nostri di Terra Ferma presenti & futuri, che una volta all’anno abbiano a far proclamar nelli luoghi soliti, che s’alcuno sarà così ardito, che abbia a romper, tagliar, o far tagliar gli arzeri o strade pubbliche in qual si voglia luogo della Signoria Nostra.
Con danno d’alcuna terza persona, sia irremissibilmente punito di pena capital, della quale non gli possa esser fatta gratia né remission alcuna per qual si voglia via, modo, forma, ovvero ingegno, che dir o imaginar si possa». È regola generale di tutti gli ordinamenti che l’individuazione dei reati e la severità della pena rispecchiano la scala dei valori vissuti in quel particolare momento storico: da sempre, per stroncare il ripetersi di certi delitti se ne inaspriscono le pene. Pur collocate nel contesto crudele dell’epoca ma anche nella ben nota inesorabilità della giustizia veneziana, le due leggi cinquecentesche stanno ad indicare l’importanza attribuita dalla Serenissima alla tutela degli argini . Non che alluvioni e disastri siano stati evitati, ma erano certo meno frequenti di quelli attuali.
Il che, valutate le enormemente diverse sia cognizioni scientifiche che mezzi tecnici, sta a dire d’una cura incomparabilmente più efficace dell’attuale. Ma c’è un aspetto propriamente giuridico da considerare: allora, argini e strade erano della Repubblica; ora, nell’attuale assetto costituzionale sono della gente e coloro che ne hanno la cura sono al servizio della gente; lo stabilisce l’articolo 98 della Costituzione. Presidenti, assessori, direttori tecnici, guardiani idraulici e quant’altro sono al servizio della gente ed hanno il preciso dovere di accudire alla loro funzione con disciplina e onore, impone l’articolo 54 sempre della Costituzione. Ci vorranno certo perizie, verifiche, accertamenti, ma – e non occorre certo ricordarlo ai giudici- c’è una normetta cattivella nel nostro codice penale, l’articolo 40: «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo ». Fossimo nel Cinquecento veneziano, forse cadrebbe qualche man destra e qualche occhio.
Ivone Cacciavillani
16 novembre 2010