Luca Peroni spiega quali fossero le modalità di elezione del Doge durante la Serenissima.
Nel momento in cui l’entroterra fu devastato dai Barbari, le tribù Venete si unirono tutte nella laguna plasmando la loro capitale futura. La V.S.R. durò quasi tredici secoli e nel suo pieno splendore avrà la forza di sostenere guerre sanguinose ed estenuanti con quasi tutti gli altri stati che fra il XIV e il XVII secolo fecero "la storia del mondo". Quando per mano straniera cadde, era lo stato più antico del mondo. Arrigo Pecchioli scrive: "nulla è paragonabile alle istituzioni della repubblica del leone: le sue navi, i suoi soldati, i suoi diplomatici, i suoi giudici e funzionari furono, come i Dogi, quanto la storia dei popoli conoscono di più retto ed esemplare. La Serenissima ebbe sin dall’inizio una chiara impronta governativa popolare. I Magistrati popolari (o Tribuni) venivano eletti dalle varie assemblee degli abitanti che in gravi circostanze si riunivano in un assemblea generale chiamata "Concione" o "Arengo" nelle quali risiedeva la vera sovranità.
Con il mutare dei tempi, le colonie Venete, spinte dal rapido progresso e dai vari cambiamenti interni ed esterni ai suoi confini, andrà piano piano e senza rivoluzione alcuna ad attualizzare le sue istituzioni creando quell’insieme di ordinamenti cosi ben congeniati da permettere alla V.S.R. stessa di rigenerarsi ogni qual volta i tempi lo richiedessero. Di tutte le cariche della repubblica, la più simbolica era quella del Doge, unica ad essere a vita. Da principio il Doge nasce come capo militare eletto direttamente dal popolo; il suo potere fu sempre limitato e via via che le istituzioni Venete presero forma, diminuì sempre più fino a diventare un vero e proprio schiavo della repubblica. In lui si incarnava lo spirito dello stato Veneto, la sua magnificenza doveva essere assoluta. Il primo Magistrato della Serenissima era talmente limitato che gli era praticamente impossibile qualsiasi manipolazione dei meccanismi costituzionali a suo vantaggio. "Era partecipe d’ufficio a tutte le assemblee decisionali della Serenissima, eppure condannato ad ogni sorta di limitazioni riguardanti l’intera sua famiglia e costretto a chiedere il permesso di assentarsi, fosse pure per qualche ora." (Alvise Zorzi). L’elezione del Doge, poi, era una questione complicatissima, giacché, ad evitare il più possibile brogli e voti di scambio, la procedura, ideata da Ruggero Zorzi capo del consiglio dei quaranta nel lontano trecento, prevedeva un complesso lavoro intrico di votazioni ed estrazioni. Il Maggior Consiglio si radunava e venivano allontanati tutti i membri che non avessero ancora trent’anni; si contavano i rimanenti e si mettevano in un’urna tante ballotte quanti essi erano, 30 di queste ballotte contenevano un foglietto con la parola "elector". Intanto il consigliere più giovane si recava alla basilica di San Marco, vi faceva una fervente preghiera, e tornando al palazzo, doveva condurre con sé il primo fanciullo che avesse incontrato. Questo fanciullo, capitato per caso, doveva estrarre dall’urna una ballotta per ciascun consigliere, quei 30 a cui toccava la parola "elector" restavano nella sala, gli altri dovevano uscire. Le 30 ballotte venivano poi riposte nell’urna; questa volta solo 9 contenevano il biglietto, i 30 si riducevano cosi a 9. I 9 estratti si riunivano in una specie di conclave, durante il quale, col voto favorevole di almeno 7 di loro, dovevano indicare il nome di 40 consiglieri. Col sistema delle ballotte contenenti il foglietto i 40 venivano ridotti a 12; questi col voto favorevole di almeno 9 di loro, ne eleggevano altri 25, i quali venivano ridotti di nuovo a 9 che ne avrebbero eletto altri 45 con almeno 7 voti favorevoli. I 45, sempre a sorte, venivano ridotti a 11, i quali con almeno 9 voti favorevoli, ne eleggevano altri 41 che finalmente sarebbero stati gli ultimi veri elettori del Doge. Questi 41 si recavano ad ascoltare una messa, poi si raccoglievano in un apposito salone dove facevano giuramento di votare solo per il bene dello stato, poi ciascuno gettava in un urna un foglietto con un nome. Ne veniva estratto uno a sorte che se si trovava nella sala doveva subito allontanarsi, dopo di che gli elettori potevano fare le loro eventuali obbiezioni ed accuse contro il prescelto. Questi veniva poi chiamato a rispondere ed a fornire le eventuali giustificazioni. Dopo averlo ascoltato si procedeva ad una nuova votazione; se il candidato otteneva il voto favorevole di almeno 25 elettori su 41, era proclamato Doge, se non si riusciva ad ottenere questi voti si procedeva ad una nuova estrazione finché l’esito non risultasse positivo.
Tra i centoventi Dogi, spiccano personalità di altissimo livello; furono eletti Dogi in virtù della loro ricchezza patrimoniale, o dell’avanzata età che prometteva un ricambio a breve scadenza. A nessuno di loro, salvo qualche caso isolato, si possono disconoscere, tuttavia, la consapevolezza del proprio dovere, spinto talvolta fino all’eroismo, un patriottismo profondo e sincero ed un enorme senso del bene comune, caratteristica questa che rappresenta, senza dubbio, uno dei motivi più importanti dell’eccezionale durata dell’indipendenza e della grandezza della Serenissima. Una mentalità riassunta assai bene da un Doge, Domenico Contarini, quando affermava, nelle proprie volontà testamentarie, di aver "avuto sempre in cuore le cose pubbliche et eternamente San Marco nel petto."
Luca Peroni